25 APRILE A ROMA. La festa della liberazione dall’oppressione, dalla crudeltà e dall’odio
Prima di iniziare, una precisazione: la data del 25 Aprile non fa riferimento all’effettiva cessazione dei combattimenti, ma al proclama con cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia esortò la popolazione all’insurrezione contro il Terzo Reich: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. La festa nacque nel maggio 1949 con una legge ordinaria che fece rientrare la data del 25 aprile tra i giorni considerati di festa nazionale quale anniversario della Liberazione.
La liberazione per i romani significa respirare, dare aria ai polmoni perché l’oppressione che i tedeschi esercitavano sulla città era asfissiante. Il mio quartiere è immerso nel ricordo di questo evento: coesistono a due passi il sacrario delle Fosse Ardeatine e Porta San Paolo che fu teatro di uno dei più terribili scontri legati alla difesa di Roma. Per gli abitanti del quartiere entrambi i luoghi rappresentano la memoria perenne di quella che fu l’oppressione nazista.
L’attentato di via Rasella dal quale originò la spropositata reazione tedesca che invocò un impossibile diritto di rappresaglia, sfociato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, ebbe luogo a Roma e sempre a Roma c’erano e ci sono ancora i locali dell’edificio in via Tasso che, durante l’occupazione nazifascista di Roma, era tristemente noto come luogo di reclusione e tortura da parte delle SS. Oggi è diventato il Museo della Liberazione ed è visitabile gratuitamente. Le celle sono state oggetto di un restauro conservativo e sono rimaste come erano. A titolo di memoria ricordo che nella cella n° 5 fu recluso il colonnello del Genio Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte Militare Clandestino, fucilato alle Fosse Ardeatine. Qui è conservata la bandiera bianca con la quale il colonnello attraversò le linee, durante la sfortunata battaglia di popolo per la difesa di Roma, per trattare con il Feldmaresciallo Albert Kesselring la resa in cambio della concessione dello status di “città libera” e “città aperta”a Roma, naturalmente accordo tradito dai tedeschi non appena concluso.
I romani sperimentano la brutalità delle uccisioni tedesche come Teresa Talotta Gullace, trucidata in Viale Giulio Cesare mentre tentava di dare un pacco al marito catturato in un rastrellamento e nelle uccisioni di gruppo di Pietralata, Fosse Ardeatine, La Storta-Giustiniana, le esecuzioni capitali di Forte Bravetta. A tutto questo si aggiungono le deportazioni del ghetto di Roma, quelle di 900 cittadini del quartiere Quadraro e di 2000 carabinieri non collaborazionisti.
Quando si parla di “quasi” precisione tedesca… dovete sapere, a questo proposito, che nell’attentato di via Rasella persero la vita 32 soldati tedeschi (in realtà altoatesini) del battaglione Bozein, per rappresaglia le forze occupanti tedesche decisero di uccidere 10 italiani per ogni tedesco morto, quindi 320 persone ma… ecco che ti spunta l’animo tedesco: le vittime della strage furono in realtà 335: alla cifra di 320 Kappler aggiunse di sua iniziativa, per precisione, altre quindici persone (dieci per un trentatreesimo soldato morto successivamente e cinque per errore: che ci vuoi fare tutti possono sbagliare…).
Su Roma furono sganciate 1.060 tonnellate di materiale esplosivo
Ho accennato al rastrellamento, poco noto, del Quadraro, Ne voglio fare menzione per meglio chiarire la situazione romana sotto il tallone tedesco. Il colonnello delle SS Dollmann riporta nelle sue memorie che insieme alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine fu concepita un’ulteriore misura punitiva: doveva essere organizzato l’”esodo forzoso” dalla capitale della popolazione maschile dei quartieri più pericolosi, rastrellando le persone fra i diciotto e i quarantacinque anni. La mancata realizzazione del piano si dovette al rifiuto di Kesselring di togliere truppe dal fronte di Anzio; il rastrellamento del Quadraro del 17 aprile, deciso in seguito a un precedente attentato partigiano di pochi giorni prima, costituì una iniziale realizzazione di quanto si voleva fare dopo la rappresaglia di via Rasella.
All’arrivo delle truppe anglo-americane i crucchi avevano girato sui loro tacchi e se l’erano svignata portandosi appresso i quadri, l’argenteria e tutto ciò che potevano arraffare e mettere in tasca, terminando l’occupazione del glorioso Terzo Reich con l’immagine di un gruppo di rubagalline in fuga. Quanto disonore nel tanto decantato onore teutone!
Roma si leccava le ferite: San Lorenzo, dove c’era un importante scalo ferroviario, bombardato, il cimitero monumentale del Verano, colpito, mostrava, tra i detriti, le bare semidistrutte. La tomba di Petrolini, sbriciolata, non ne conteneva più il corpo: di lui si ritrovarono solo alcuni pezzi del frac. 1.060 tonnellate di materiale esplosivo distrussero i quartieri Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano. Si conteranno, poi, 3.000 morti e 11.000 feriti. Gli anziani raccontano ancora oggi del rombo cupo dei B52 americani quando sorvolavano la città e le sirene antiaeree che ululavano al cielo.
Perché questa lunga introduzione? Per poter meglio descrivere la situazione romana, l’aria opprimente che si respirava, la disperazione cupa che aleggiava sulla testa del popolo.
Come poteva essere, pertanto, il giorno della liberazione? Come potevano essere accolte le truppe americane a Roma? Con una gran festa! Il cielo sull’Urbe era tornato azzurro e la gente respirava fiducia verso il futuro, vedeva un incubo svanire.
Gli Americani entrarono in Roma festosamente, dopo mesi di combattimento nella zona di Anzio. Il popolo li acclamava, li salutava e loro, dai mezzi militari, si sbracciavano e lanciavano biscotti, sigarette e caramelle, cosa che rimarrà nella memoria dei romani: i cittadini della Capitale, infatti, avevano letteralmente “fatto la fame” soprattutto negli ultimi mesi di guerra. Raccontava mia madre della meraviglia quando assaggiò quel pane americano, bianco come la neve, dopo anni di pane “nero” razionato. I più giovani si domanderanno cos’era il “pane nero” ebbene non era un prodotto dietetico come oggi; era fatto con farina integrale e crusca, al frumento si aggiungevano le farine di mais, di segale e un “po’ di tutto”. Alcuni panificatori aggiungevano persino la segatura! Il sale, inoltre, verso la fine della guerra, era un prodotto difficile da trovare, quindi il pane era pure insipido.
Luciana, una testimone, racconta: «La gente acclamava quei soldati che si sporgevano dai camion, dalle Jeep e dai carri blindati lanciando ogni ben di Dio alla folla».
La signora Luciana M. testimone dell’arrivo di quei ragazzoni d’oltreoceano ci ha raccontato: “Avevamo sentito da casa un gran trambusto: vociare di persone e rumore di molti motori. Io e le mie amiche uscimmo di casa e assistemmo ad un grande spettacolo: sulla via Appia Nuova, all’Alberone (quartiere di Roma n.d.r.), c’era la colonna dei mezzi militari che andavano verso Piazza San Giovanni, procedendo al passo per non investire gli astanti. La gente acclamava quei soldati che si sporgevano dai camion, dalle Jeep e dai carri blindati lanciando ogni ben di Dio alla folla. Le ragazzine si arrampicavano sulle camionette per baciare i liberatori che venivano abbracciati da tutti. I bambini razzolavano in giro per raccogliere da terra le tavolette di cioccolata che per noi erano una rarità”.
La “liberazione” significa felicità per i romani, ma anche la voglia di ricordare affinché quanto accadde non si ripeta mai più. Ciò che più ha lasciato sgomente le nostre anime è come un popolo riesca ad infierire sugli altri con una crudeltà e disprezzo degna del peggior inferno. Nel periodo dell’occupazione nazista la Capitale è stata oggetto delle vessazioni più crudeli e impensabili, orrore si è sommato ad orrore e nessuno ne è stato risparmiato. Non nominate mai i tedeschi a un romano “de Roma”!
Il 25 Aprile, si svolge il corteo che conduce all’Altare della Patria. Qui il Presidente della Repubblica pone la corona d’alloro al sacello del Milite Ignoto come simbolo di rispetto verso i caduti. Sono passati 75 anni dalla II Guerra Mondiale e dalle sue nefandezze, accadute praticamente ieri l’altro: chissà se gli attori di quella tragedia saranno cambiati o avranno avuto un moto di pentimento? Un saluto a un metro e mezzo di distanza.