A Remo Rapino il 58^ Premio Campiello con il romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”

CHIETI – E così sia! Allo scrittore Remo Rapino, abruzzese di Casalanguida (CH) che vive a Lanciano ed  è stato docente di Filosofia e Storia presso il  locale Liceo Classico  “V.Emanuele II”, è stato conferito il 58 ^ Premio Campiello con il romanzo Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio.La Giuria dei Trecento lettori, che sceglie il vincitore nella Cinquina del premio, ha assegnato al romanzo ben 92 punti sui 264 pervenuti, consentendogli di elevarsi al podio sugli altri quattro finalisti: il chioggiotto Sandro Frizziero con Sommersione (Fazi), Ade Zeno con L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri), Francesco Guccini con Tralummescuro (Giunti) e Patrizia Cavalli con Con passi giapponesi (Einaudi).Il Premio Campiello viene promosso dagli Industriali del Veneto che hanno organizzato per la prima volta la cerimonia di premiazione nella fiabesca cornice di Piazza S. Marco a Venezia,  in una location nuova che, sebbene luogo aperto, non ha fatto a meno  delle disposizioni imposte dalle esigenze di sicurezza sanitaria.
Dal 1993 lo scrittore Rapino ha pubblicato 30 opere di narrativa e poesie e con lo stesso romanzo ha partecipato anche al Premio Strega 2020, rientrando nella selezione dei finalisti.   L’opera  è la narrazione di un percorso dagli anni ’40 a fine secolo; il percorso di vita di un uomo  che  è considerato  un matto da tutta la gente del paese. Che paese è?  Un paese. Tutti i paesi. Perché la vita, la morte e i miracoli di Liborio sono di  quelli   comuni, di quelli che accadono  nei paesi dove il “diverso”   – matto  o savio che sia –  viene visto con un misto di timore e di scherno e che non cambiano mai: “paese sempre piccolo e sempre uguale, uguale quando si lascia, uguale quando ci  si ritornerà” (Montieri Gianni in Huffpost 4.11.2019).  Può una vita farsi lingua/linguaggio? Ebbene si. E’ quel che accade nel romanzo di Rapino  ne è la formula vincente.  Una mescolanza di dialetti – del sud e del nord, che si fanno racconto seguendo il protagonista nei suoi spostamenti  –  e di lingua italiana  in  cui non c’è prepotenza  degli uni o dell’altra …semplicemente si combinano insieme  – grazie alla accorta e sapiente  “mano” dell’autore –  vitalizzando il passaggio di Liborio attraverso tutto il Novecento.   Scrive ancora Montieri: ” Non possiamo non riconoscere qualcosa di noi in Bonfiglio Liborio, non possiamo evitare di scorgere il profilo di un nostro nonno, di un conoscente. …… Succede perché Rapino inventa un linguaggio e quando si ascoltano parole nuove, quando il ritmo impressionante della prosa impastata, ruvida, musicale, brillante ti travolge, non puoi far altro che emozionarti, lasciarti agguantare e perderti nel flusso degli accadimenti”. Dunque, un romanzo da leggere tutto d’un fiato, senza attardarsi a criticare la mancanza di purismi linguistici o arricciare il naso per l’assenza di costrutti perfetti, ma lasciando che la narrazione trasporti in una dimensione – quella dei nostri nonni – che ci risucchia nel libro perché “il Novecento è stato il secolo più di tutti gli altri, così pieno di cose e così vicino”.

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