Alla ricerca dell’Anima. Il Mistero dei Misteri che assilla l’essere umano

Quando pensi che tutti i matti stanno dentro, qualcuno salta fuori. Perché mai questa considerazione? Stavo sistemando un po’ di libri quando me ne capitò uno che trattava dell’esistenza dell’anima. Non è molto noto ma il problema della sua esistenza “fisica” ha interessato molti scienziati nel passato. In effetti ci si chiedeva cosa mancasse ad un essere umano quando è morto? Insomma cosa stabilisce lo stato di vivo o morto? Quale misterioso interruttore scatta stabilendo la fine di una persona? Cosa è e dove va a finire l’anima?

La parola anima deriva dal greco “ànemos”, che significa soffio, che sarebbe quel qualcosa di impalpabile di cui si vuole l’uomo esserne dotato. Filosofi e Teologi hanno dato origine ad un “mare magno” di teorie per cercare di focalizzare questo concetto, così complesso ma anche così fondamentale per l’idea che l’uomo sia più di un insieme di cellule, organi e sistemi. L’anima però non trova posto in un organo, non lascia tracce registrabili e misurabili e quindi la scienza ha inizialmente archiviato la questione come estranea alla sua competenza.

Il primo tentativo di dimostrare l’esistenza dell’anima e addirittura di pesarla ebbe come protagonista nel 1904 il dottor Duncan MacDougall il quale intendeva avvalorare la tesi secondo la quale l’anima umana esiste e ha una massa misurabile. Condusse un esperimento su sei pazienti moribondi il cui peso era stato misurato prima, dopo e nel momento del trapasso; cinque erano uomini ed uno era una donna. Con l’aiuto di altri quattro medici, il dottor MacDougall misurò con attenzione il peso del suo primo paziente ante mortem. Quando il paziente morì, si verificò un evento interessante. Improvvisamente, qualche frazione di secondo dopo la dipartita, il peso corporeo risultava inferiore di alcuni grammi. Vi domanderete:  “come ha fatto a pesare il trapasso?” Costruì un delicatissimo strumento con scala suddivisa per once, collegato ad un letto sul quale pose i poveracci che non furono lasciati in pace nemmeno in articulo mortis.

La bilancia di MacDougall

L’11 marzo 1907  sul New York Times descrisse il momento storico: “Quando il paziente ha cessato di vivere, immediatamente il bilancino è caduto dalla parte opposta, con una velocità ed una tempistica sorprendenti, come se qualcosa avesse improvvisamente abbandonato il corpo“. A morti fatti, tutti e cinque i medici confrontarono i loro risultati. Non tutti i pazienti avevano perso lo stesso peso corporeo, ma le differenze erano minime. Si trattava del peso dell’anima? L’esperimento fu ripetuto su un altro paziente con identici risultati. Furono prese in considerazione varie ipotesi per giustificare la perdita di peso, dall’aria nei polmoni ai fluidi corporei, ma ciò non spiegava il fenomeno e confrontando i risultati dei medici presenti, venne stabilito che la perdita di peso medio per ciascuna persona era ¾ di oncia e si concluse che il peso dell’anima umana corrisponde a 21 grammi. Ripeterono identici esperimenti con 15 cani e topi che non mutando peso li fecero esclamare  ”Ohibò gli animali non hanno anima!”  

Hameroff e Penrose

I tentativi di spiegare l’inspiegabile cioè l’esistenza del soffio vitale non terminarono e si giunge ai nostri giorni quando due scienziati: Penrose, fisico matematico nonché Premio Nobel ed il dottor Hameroff, medico anestesista, direttore del Dipartimento di Anestesiologia presso l’Università dell’Arizona, direttore del Centro Studi sulla Coscienza e professore Emerito di Psicologia presso la medesima Università, tirarono fuori nel 2015 una teoria chiamata “riduzione oggettiva orchestrata”, che tira in ballo la meccanica quantistica. Quando non si riesce a spiegare qualcosa se non in un modo fantasioso, la quantistica entra sempre in gioco, non mi chiedete di spiegarvela perché, ammesso che ne fossi capace, staremmo le ore a discutere a causa della sua astrusità, tenterò solo di descrivere il pensiero dei due studiosi. Ora, vi prego, un po’ di attenzione perché stiamo per entrare nel mondo della giocoleria intellettuale, dell’acrobazia mentale e del funambolismo speculativo. I due scienziati sostenevano che nel nostro cervello sono presenti strutture intracellulari dette microtubuli le quali funzionano non secondo le regole della fisica classica, ma secondo vibrazioni quantistiche; per questo motivo, i microtubuli si auto-organizzano e auto-producono calcoli sulla loro stessa attività. Le onde prodotte dai microtubuli originano solo probabilità, non algoritmi certi, ma mostrano e fanno parte di una complessa capacità di produrre coscienza; sono assimilabili alle vibrazioni prodotte dai “quanti” che sono le stesse alla base dell’Universo.

La teoria quantistica

Cosa è un quanto? È l’unità fondamentale della scienza quantistica ed ha la caratteristica di produrre energia. Nel cervello umano è quindi presente la stessa energia dell’Universo, dal momento che ne condivide l’unità di base che la produce. Per parlare chiaro, i due tizi dicono che nel cervello esistono le stesse “cose” che producono energia e muovono l’Universo e quindi non ne sono solo collegati ma ne fanno parte. Questa forma di energia e quel che ne consegue, infilata nel cervello umano è la cosa  più vicina a ciò che chiamiamo anima e che si sostiene sopravvivere al corpo dopo la morte fisica. Per contro una larga maggioranza della comunità scientifica ritiene si tratti di idee pseudoscientifiche tecnicamente in contraddizione con altri risultati sperimentali. Ve l’ho detto, quando si parla di quantistica non si sa mai dove finisce la scienza ed inizia la filosofia: una cosa è certa fa venire il mal di testa.

Dopo i fisici quantistici è stata la volta dei fisiologi e una squadra di studiosi del Centro Ricerche di Neuroscienze dell’Università di Cambridge diretto dal Dr. James Edward Monroe e il Dr. Waheed Langhani, non solo hanno dimostrato l’esistenza dell’anima, ma anche identificato la regione del cervello in cui si trova con buona pace dei “quanti” e dei loro sostenitori. Queste persone hanno speso tre anni della loro vita a studiare migliaia di scansioni ottenute con una tecnologia chiamata “Risonanza magnetica nucleare funzionale” o fMRI, una sorta di ambaradam che permette di vedere quali parti del cervello stanno funzionando nel momento che si esegue o si pensa qualcosa. Cosa è successo? Il Dr. Monroe e il Dr. Langhani erano lì che studiavano la ghiandola pineale, una “cosina” a forma di “pigna” (da cui il nome) che si trova vicino al centro del cervello, quando hanno notato che chiedendo ad un paziente di pregare o meditare, l’attività cerebrale improvvisamente si concentrava proprio lì, in quella ghiandola.

Esempi di attivazione funzionale
(in arancione e rosso) sovrapposti a immagini della struttura del cervello ottenute con fMRI.

Dopo avere studiato bene la cosa hanno determinato che la epifisi (altro nome della ghiandola pineale) era il centro di tutti i pensieri e le credenze spirituali e religiose. Intervistato dai giornalisti, il professor Monroe ha dichiarato: “In primo luogo abbiamo notato che quando i pazienti hanno cominciato a pregare, la ghiandola pineale divenne completamente iperattiva. Questo sembrava davvero insolito, dal momento che questa ghiandola è conosciuta per avere un livello basso e costante di attività. Siamo finalmente in grado di determinare che ogni volta che un paziente ha pregato, meditato o anche leggere un libro sacro, l’attività cerebrale è stata chiaramente incentrata sulla ghiandola pineale e il talamo. C’è così tanta attività nel cervello ma soprattutto concentrata nella ghiandola pineale, che a volte.. quasi brilla sui nostri scanner, ed è difficile vedere esattamente cosa sta succedendo”. Non è una novità per i buddhisti: la ghiandola pineale è visibile nel feto dalla settima settimana di vita, che coincide, secondo la tradizione tibetana, con la migrazione dell’anima nel corpo ed identificata come “terzo occhio”: vai a vedere che migliaia di anni fa avevano capito tutto…. Questa volta, però, si avrebbe anche una prova scientifica.

Cartesio – Relazione tra la percezione
e la ghiandola pineale

Pure Cartesio nel XVII secolo la considerava come “la sede principale dell’anima e il luogo in cui si formano tutti i nostri pensieri.” Prendendo lo spunto da questa teoria, nel 1950 un neurochirurgo inglese, il dr. Frederick Gibbs, ispirato proprio dalla tesi di Cartesio, tirò in ballo nientemeno che Hitler. Secondo il medico, il tedesco (anzi austriaco) aveva la ghiandola pineale atrofizzata a causa di una calcificazione e considerato che gli effetti di questa patologia sono la depressione, l’ansia, la bulimia l’anoressia, la schizofrenia e altre forme di malattia mentale, spiegava, con questa motivazione, il comportamento del dittatore tedesco. L’Ipifisi, però non è eterna, l’immortalità dell’anima come la spieghiamo?

Argomento affascinante e ancora aperto, nel campo scientifico, quello dell’anima e ancora non trova una risposta. Nel  2019 il dottor Michael Ferguson alla Harvard Medical School ha tenuto un evento chiamato “Soul & Brain”, dove ha riunito un gruppo di studiosi composto da medici, psicologi, filosofi, con lo scopo di tracciare le convergenze tra filosofia e scienza sul tema dell’anima. La domanda di partenza è stata “E se gli antichi filosofi avessero avuto ragione?”. Al momento il quesito rimane aperto. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.

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