Come prima, più di prima. Viaggio tra epidemie e sconquassi climatici narrati dal Gattinara nella sua “Storia di Tagliacozzo”

TAGLIACOZZO – Oggi sembra ieri e ieri è l’oggi che stiamo vivendo.

Don Giuseppe Gattinara, attento cronista del suo tempo e meticoloso storico della città, nella sua “Storia di Tagliacozzo” edita nel 1894, narra di episodi e sofferenze patite dalla popolazione a seguito dell’imperversare, nel corso dei secoli, di mortali epidemie e sconquassi climatici.

“Notizie trovate – scrive l’Autore – dietro una tavola che sorreggeva il quadro della Madonna dell’Oriente”. Siamo nell’anno 1500, allorquando un morbo sconosciuto, indomabile e resistente a qualsivoglia rimedio, seminò morte e desolazione tra le nostre contrade.

“Per lo che – espone il Gattinara – gli alimenti, i farmachi e gli stessi conforti religiosi si apprestavano agli infelici col mezzo di una canna a rispettiva distanza”.

Anche nel lontano 1500, come si evince, correva il basilare principio del distanziamento interpersonale.

Regola offesa e bistrattata, oggi, malgrado che un morbo simile impazzi in tutto il mondo.

Eppoi la peste orientale nell’anno 1656 che annientò completamente le popolazioni di Gallo e S. Donato e la morìa di bestie bovine nel 1736 che non permise la coltivazione delle terre, procurando miserie e fame, nonché un dissesto finanziario.

“Una siccità generale – stiamo nel 1779 – sterilì le campagne in guisa che non si ottenne ricolto di sorta – narra ancora il Gattinara – e i commestibili di prima necessità furono venduti a prezzi favolosi.

Eppure la carità non fece perire alcuno per fame”.

Le bizze del clima, anche in quegli anni dolorosi, non risparmiarono i nostri territori. Il 29 agosto del 1815 un violento uragano travolse Tagliacozzo.

Fu così devastante che abbattè alberi e muri di cinta, procurò frane, fece tracimare il fiume Imele, travolse bestiame.

L’evento viene ricordato come “Il diluvio di Santa Sabina”.

Ed ancora. La siccità come ai tempi d’oggi.

Dalla metà di dicembre dell’anno 1816 e fino al 13 maggio del 1817, un periodo lungo ben  cinque mesi, in tutte le nostre contrade non cadde una goccia d’acqua.

I seminati non davano più segno di vegetazione e la miseria della gente fu al culmine della disperazione. E, a distanza di una trentina di anni, si arriva al 1852, il giorno 10 aprile, ultimi quattro giorni della Settimana Santa, una straordinaria nevicata ricoprì il territorio con accumuli di oltre due metri.

Nei vicoli e stradine interne, si rientrava nelle case attraverso le finestre.

Infine, il colera. Correva l’anno 1854 e il morbo, importato da queste parti da una donna proveniente da Roma, portò a miglior vita novantasei nostri compaesani.

Oggi, anno 2022, non ci facciamo mancare nulla di tutto quanto narrato dal Gattinara.

Abbiamo il Covid, la siccità,  gli uragani e, in più, la guerra, gli sporcaccioni e governanti incapaci.  

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