Conflittualità fra operatori sanitari e cittadini: l’insegnamento del grande psichiatra Eugenio Borgna sul delicato uso delle parole e sull’ascolto
AVEZZANO – “Cosa contrassegna le parole fragili e delicate, le parole che sono arcobaleno di speranza, e cosa le distingue da quelle che non lo sono? Solo l’intuizione e la sensibilità ci consentono di conoscerle, e di coglierle nei loro orizzonti di senso”.
La frase su riportata è stata pronunciata da uno degli psichiatri italiani più illustri e innovativi, Eugenio Borgna scomparso il 4 dicembre scorso nella sua casa nel novarese all’età di 94 anni.
Borgna, che ha ricoperto diversi incarichi dirigenziali in reparti di psichiatria italiani di grande livello, è stato un innovatore per eccellenza, mettendo al centro della sua metodica terapeutica la persona, con le sue emozioni, le sue fragilità il suo deserto esistenziale interiore e le mille domande, come diceva, che si poneva.
Uno psichiatra-umanista, è stato definito che dava una importanza fondamentale alla parola, al dialogo e all’ascolto e alla capacità di entrare in empatia con le sue pazienti. Lui, infatti, era un grande conoscitore delle sofferenze dell’animo e della psiche femminile e aveva compreso come quelle fragilità e quella indicibili sofferenze potessero trovare terapia nel dialogo e nel confronto culturale.
Dialogo, parola, confronto. Abbiamo voluto ricordare, indegnamente, una figura così eminente come Eugenio Borgna perché in queste ultime settimane la cronaca ha riportato notizie di diverse aggressioni e tensioni fra cittadini e personale sanitario, soprattutto nei pronto soccorso.
Leggendo Borgna abbiamo pensato a quella terminologia. Il dialogo, il confronto, l’ascolto. L’importanza di comprendere e distinguere le parole e la loro importanza.
Sicuramente, in molti casi di quelli trattati dalla cronaca, di base ci sarà insofferenza per le attese, aggressività congenita ed altro, ma siamo certi che in svariati altri a scatenare una reazioni fuori luogo di un cittadino utente della sanità, potrebbe esserci una parola detta al momento e col tono sbagliato da parte degli operatori sanitari, magari esasperati dalla mole di lavoro che, grazie ai continui tagli alla sanità pubblica, sono diventati sempre meno gestibili.
Ma ciò cambia poco. Massino rispetto per medici e infermieri, ci mancherebbe, ma forse una maggiore comprensione dello stato del paziente non guasterebbe.
Questo discorso si applica, a maggior ragione, nella cura dei pazienti con patologie psichiatriche, più o meno gravi che siano. Al centro, infatti, c’è una sofferenza che, come sosteneva Borgna, non può essere ricondotta solo ad un malfunzionamento chimico-biologico, ma riguardava l’interiorità e l’animo di queste persone, ancor più se donne, con le quali andava instaurato, appunto, un rapporto terapeutico di ascolto, di confronto e di estrema attenzione all’utilizzo delle parole.
Qualche tempo fa, a tal proposito, una persona che ci legge ci ha riferito di avere avuto una pessima esperienza con uno psichiatra che l’aveva in cura. Ci è stato detto che, a causa di una garbata richiesta di informazioni, il medico, per tutta risposta si sarebbe reso protagonista, testuali parole della persona in questione, di una vera e propria aggressione verbale per telefono.
A quel punto abbiamo voluto capire se si trattasse di un caso isolato e di una sfortunata casualità, e abbiamo contattato gli organi competenti. Fra non poco imbarazzo, ci è stato detto che recentemente di segnalazioni simili ce ne sarebbero state un po’. Il numero non ci è stato detto, ma a quanto pare non si tratterebbe di rarità.
Nel caso in specie, considerando anche la fragilità e la sofferenza che noi, poveri giornalisti di campagna, abbiamo potuto cogliere nella persona che ci ha contattati, ci chiediamo se il professionista in questione abbia mai sentito parlare di Eugenio Borgna, della sua filosofia di scienziato-umanista che ha messo al centro la persona e le sue sofferenze, prescindendo dal solo aspetto biologico e chimico-farmaceutico e del suo approccio basato sull’ascolto e sull’uso accorto e consapevole delle parole che possono diventare terapeutiche, sono “parole arcobaleno”, o altra sofferenza, se sono il loro opposto.
Evidentemente, ahinoi, no.