Gesù, Maria Maddalena e una chiesa templare. Il Misterioso legame fra Rennes Le Château e la chiesa di Sant’Eustachio a Roma

Voglio raccontarvi una storia che lega la chiesuzza francese di Rennes Le Château a Roma.

La Città Eterna ha forti legami col cristianesimo, non foss’altro perché vi risiede il Papa. Qui riposano l’Apostolo Pietro e l’Apostolo Paolo, sono custoditi alcuni frammenti della Croce di Cristo e anche alcune spine della sua corona. Manca la Sindone ma vedrete che prima o poi arriverà pure quella. In compenso, nella Basilica di San Sebastiano sono custodite le impronte dei piedi di Gesù.

Le impronte di Gesù

In un testo apocrifo di San Pietro si legge come il padre fondatore della Chiesa, fosse spaventato dalle persecuzioni contro i cristiani ordinate da Nerone, decise di fuggire via da Roma. Giunto all’incrocio tra via Appia e via Ardeatina ebbe una visione di Gesù Cristo. Il santo gli chiese: “Quo vadis, Dominae? (Dove vai maestro)” e questi rispose: “A farmi crocifiggere una seconda volta”.

Quando Gesù scomparve, rimasero le sue impronte impresse sulla pietra. Attualmente sono custodite nella Basilica di San Sebastiano in via Appia Antica 136. Per chi è di Roma, la basilica sta a due passi da Piazza dei Navigatori. Fateci un salto: troverete la scultura del Bernini “Salvator Mundi” e le reliquie (non il corpo) di San Sebastiano assieme ad altre opere d’arte. Nella Capitale non c’è Maria Maddalena che è una figura molto controversa nel mondo cattolico, ma, come vedremo in seguito, qualcosa che parla di lei da qualche parte è conservata.

MARIA MADDALENA

Nell’anno 48 dopo Cristo, una piccola barca approdò a Saintes-Maries-de-la-Mer sulle coste francesi, in Provenza, a pochi chilometri da Marsiglia. A bordo Lazzaro, Marta, Massimino e altri tra i primi discepoli di Gesù: tutti fuggiti dalla Palestina perché perseguitati da Erode. Tra questi Maria Maddalena. Era la donna che a differenza degli altri discepoli,  non fuggì durante la Crocifissione, ma rimase sempre accanto a Gesù.

Si occupò anche di curarne il corpo dopo la deposizione al Sepolcro e per prima si accorse della sua Resurrezione. Secondo alcune voci pare che fosse addirittura sua moglie, cosa orribile agli occhi dei cattolici. Perché poi non si sa. Eppure, a quei tempi, il celibato era anomalo per un “Rabbino”. Gesù era un Maestro di Torah, tant’è che nei vangeli ci si riferiva a lui con l’appellativo di “rabbi” (Giovanni 9,1-41 ” [In quel tempo] Gesù passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?“). Dunque, un Gesù coniugato sarebbe stato del tutto normale. Vabbè sono le stranezze ecclesiastiche.

LA SANTA IN PROVENZA

La tomba della Maddalena a Saint Maxim la Sainte Baume

In Francia la comunità ebraica accolse la donna come una regina. La posizione di prestigio pare fosse dovuta in parte alla sua appartenenza alla tribù di Beniamino, ma anche perché portava in grembo il frutto del proprio matrimonio con Gesù di Nazareth (hic sunt leones!). Da qui la storia secondo la quale il “Santo Graal” sarebbe una errata trascrizione di Sang Real, la linea di sangue dei discendenti di Gesù e Maria Maddalena. Vero? Falso? Non si sa. Una cosa è certa: Dan Brown fece soldi a palate con questa vicenda che fu l’ordito del suo libro “Il Codice Da Vinci”.

Quando la Santa Donna morì, ebbe sepoltura a Saint Maxim la Sainte Baume dove attualmente è custodito il suo corpo. Quel posto divenne l’attuale cripta della basilica, curata dai monaci cassianiti. Per la verità c’è chi afferma il contrario e che Maria Maddalena non è mai sbarcata in Francia. Dopo l’ascensione di Gesù lei visse e morì ad Efeso dove c’è la sua sepoltura. A questo punto ci troviamo non solo davanti ad un esubero di tombe ma anche alla domanda su cosa diamine ci starebbero a fare, lì, i cassianiti… .

LA STORIA DELLA CHIESA DI RENNES-LE-CHÂTEAU E IL PARROCO SAUNIÈRE

Il parroco Berengers Saunière

Era il 1885 e a Rennes Le Château arrivò il nuovo parroco della chiesa di Santa Maria Maddalena. Si chiamava Berengers Saunière. La chiesa era fatiscente più che trascurata. L’Abate si rimboccò le maniche e cominciò a sistemarla con quel che aveva. Non era un tipo proprio tranquillo e durante le sue omelie se la prendeva duramente con la repubblica francese. Queste menate gli attirarono la simpatia della marchesa di Chambord la quale, pare, gli donò un bel po’ di danaro per ristrutturare la chiesa.

Durante questi lavori, alcuni operai fecero cadere un pilastro visigoto. Al suo interno erano celate quattro pergamene, due testi dell’Antico Testamento e altre due contenenti delle genealogie. Il buon Abate si recò da un giovane seminarista, Emile Hoffet, che avrebbe potuto aiutarlo nella decifrazione.

Decifrati i testi, chissà come e perchè, una grande quantità di denaro affluì nelle tasche del religioso che abbellì la chiesa con statue (strane), simboli e curiose scritte affrescate sui muri. Fece costruire la Villa Bethania, casa di riposo per preti, costruì un serbatoio d’acqua e una nuova strada di collegamento per Rennes Le Château. Innalzò anche la Torre Magdala dove vi era lo studio e la sua biblioteca. L’Abate non svelò mai da dove venissero tutti quei soldi tant’è che per questo fu oggetto di una temporanea sospensione “a divinis”.

LA MORTE DEL PARROCO

Era il 17 gennaio del 1917 quando si sentì male mentre stava a Villa Bethania. Stava male a tal punto che fece acquistare dalla sua perpetua, Marie Denardaud, una bara. Chiamò, successivamente, lo stesso giorno, l’abate Rivière per confessarsi. Fu una strana confessione che non portò all’assoluzione. L’ Abate Rivière uscì da Villa Bethania completamente sconvolto. Forse il moribondo rivelò al povero prete la non-resurrezione del Cristo che avrebbe messo in crisi i principi della Cristianità e forse qualcosa sul matrimonio del Redentore. Il nostro parroco passò a miglior vita il 22 dello stesso mese senza i conforti religiosi.

DALLA FRANCIA A ROMA

Ed eccoci a Roma. Sopra al portone d’ingresso della chiesa di Sant’Eustachio c’è una stupenda vetrata molto somigliante a una raffigurazione che si trova nel bassorilievo al di sotto dell’altare di Rennes le Château.

Due artisti di Tolosa, Gabriel e Louis Gesta realizzarono la vetrata a fine ottocento, nello stesso periodo dei lavori di restauro della chiesa di Saunière. Curiosamente i due erano concittadini di quel Giscard di Tolosa, che ornò, agli ordini del parroco di Rennes Le Château, con alcune opere, proprio la chiesa di Santa Maria Maddalena.

LA VETRATA E IL BASSORILIEVO

Le due Maddalene – A sinistra quella di Sant’Eustachio a Roma, a destra quella di Rennes Le Château

Secondo alcuni, Giscard di Tolosa non realizzò tutte le opere all’interno della chiesa. Alcuni elementi furono opera di Bérenger Saunière stesso, come nel caso del bassorilievo citato.

LA FAMIGLIA POUSSIN A ROMA

I pastori di Arcadia

Vai a sapere cosa lega Sant’Eustachio a Rennes-le-Château. La curiosità nasce dal fatto che l’Abate aveva acquistato a Parigi la copia di un quadro di  Poussin: I pastori di Arcadia nel quale compare la famosa scritta “et in Arcadia ego”. Nel dipinto, quattro figure umane: tre uomini e una donna, sono intente ad osservare stupiti quella che sembra una tomba in pietra sulla quale è incisa proprio la fatidica frase.

Particolare della tomba di Poussin

Veniamo a Roma. Nella chiesa di Sant’Eustachio, oltre alla vetrata raffigurante la Maddalena penitente è presente un’opera di Étienne de La Vallée-Poussin, parente di Nicolas Poussin e membro della famosa Accademia dell’Arcadia. Fa strano vedere quella vetrata assieme ad un lavoro di un Poussin- pastore (così si chiamavano i membri dell’Accademia): a due passi c’è la chiesa di Santa Maria Maddalena dove era più logico piazzare l’opera vetraria.

Andando, sempre a Roma, nella basilica di San Lorenzo in Lucina (era la parrocchia di Andreotti), invece, fa bella mostra di sè proprio la tomba di Nicolas Poussin. Sulla lapide è scolpita parte del famoso quadro, frase compresa. Quella frase latina si ripete continuamente nella storia. Risale allo scrittore latino Ausonio, in riferimento alla tomba di Terenzio. Quelle quattro parole, però, chiamano in causa, secondo alcuni studiosi, la figura di Gesù Cristo e la sua presunta discendenza, secondo una linea di pensiero riconducibile ai Càtari e ai Templari per giungere ad alcune sette massoniche.

ARCADIA! ARCADIA!

Fino ad ora ho citato l’Arcadia ma di cosa si trattava? Il posto è una regione della Grecia, nella penisola del Peloponneso. Era percepito come un mondo idilliaco dove gli abitanti stavano lì, imbambolati in eterno e immersi in una natura bella e statica. Artisticamente era il vagheggiamento culturale di una terra felice, di canti, amori e luminosi paesaggi. Semplici pastori bivaccavano bucolicamente tra alberi, fiumi e foreste come in una sorta di rimbambito paradiso terrestre. Non si sa come campassero gli arcadici abitanti e nemmeno se si ammalassero o avessero pulsioni sessuali.

ET IN ARCADIA EGO

Ma quale significato hanno quelle sette sillabe? La traduzione letterale sarebbe “Anche in Arcadia io”,  Et è la contrazione di etiam (anche). La frase indicherebbe, nella rappresentazione pittorica, la scoperta, da parte dei pastori fanciulloni, della triste presenza della morte anche in un simile paradiso terrestre. Secondo alcuni il suo significato vero è contenuto nell’anagramma “Arcam Dei Tango Iesu” (tocco la tomba di Cristo) e con questo si ritorna a Merovingi e Catàri. Altri ci forniscono la seguente soluzione: “I Tego Arcana Dei” (Vattene Nascondo i Segreti di Dio). Il dibattito è ancora aperto: “Ego” fa riferimento a un morto? È la Morte? Il morto è vissuto in Arcadia? O, come detto in precedenza, la Morte è anche in Arcadia, luogo della beata vita pastorale?

IL GUERCINO E I MEROVINGI

Guercino “Et in Arcadia Ego”

Il Guercino intitolò una sua opera proprio con quell’epitaffio latino aggiungendo mistero al mistero. Oltre ai soliti pastori e alla tomba, nel dipinto è presente un teschio con un foro su una tempia. La cosa richiamerebbe alla mente la scoperta della genealogia Merovingia, le cui pergamene sarebbero state trovate dall’abate Sauniere e le pratiche di sepoltura dei re Merovingi.

Costoro erano i presunti discendenti di un’unione tra Gesù e la Maddalena. Considerati “re taumaturgi” grazie alla loro capacità di guarire malattie con la sola imposizione delle mani, erano soliti seppellire i corpi dopo una perforazione del cranio, per consentire all’anima del defunto il ricongiungimento col divino.

IL FORO SUL TESCHIO

Qualcuno dice che il foro sul teschio sia l’immagine di un moscone che, però, ricorda una trapanazione rituale. Altri ritengono sia un riferimento alla contestata fine di Celestino V ucciso con una “chiodata in testa”. Sta di fatto che nel suo viaggio a Parigi, Saunière, oltre alla copia del quadro di cui abbiamo abbondantemente parlato, acquistò anche quella di un ritratto proprio del “Papa del gran rifiuto“.

Come sempre, per ogni cosa, si può dire tutto e il contrario di tutto, anche se, badate bene, il macabro resto umano è presente anche nel bassorilievo della Maddalena a Rennes Le Château. Negli ultimi anni numerosi rennologisti (così sono definiti i ricercatori che si occupano della chiesetta francese) hanno sostenuto una tesi diversa: la tomba dipinta dal pittore francese simbolizza quella di Gesù e basta, altro che buchi e merovingi! Figuratevi che dramma per Santa Romana Chiesa se tutto fosse vero! Cristo morto e in più sposato con prole!

PER TERMINARE

Sui quadri descritti e sul loro recondito significato possono scorrere fiumi d’inchiostro, così come per la loro relazione con la chiesetta francese. Una vetrata a Roma conduce ai tanti misteri di una solitaria cappella d’oltralpe dei cui segreti, magari, ne riparleremo in un successivo articolo. Vi lascio ad un filmato che, probabilmente, fa crollare tutto il castello d’illusioni attorno alla pieve francese. Il suo contenuto rappresenta il tentativo di mistificare una verità scomoda oppure no? A voi “l’ardua sentenza“.

Vera o falsa che sia, la cosa è, comunque, affascinante. Vi saluto da un metro e mezzo di distanza.

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