Giacinto Siciliano “Di cuore e di coraggio”: quando il racconto dell’amore per la propria professione ti entra nell’anima e ti guarisce

ROMA – “Il senso dello Stato è uno dei pilastri essenziali di qualsiasi società civile. Proprio a recuperare e consolidare il senso dello Stato in chi lo ha perduto, dedica da sempre la propria vita Giacinto Siciliano, una lunga carriera condotta interamente nella amministrazione penitenziaria del nostro Paese che lo ha portato a confrontarsi con detenuti di ogni provenienza, dagli stranieri che affollano i bracci di San Vittore, ai mafiosi più irriducibili del reparto 41bis nel carcere di Opera a Milano fra cui Totò Riina…”.

È iniziando da uno stralcio del suo libro” Di cuore e di coraggio”, quello per intenderci che ne imposta un po’ la premessa, che oggi vorrei introdurre la presentazione di uno dei migliori dirigenti del Ministero della Giustizia, Giacinto Siciliano per l’appunto.

Un grande uomo, una splendida persona, ancor prima che stimatissimo dirigente dell’ Amministrazione Penitenziaria.

Ha lavorato nel penitenziario che era tristemente famoso come “il carcere maledetto…quello dei suicidi” di Sulmona e che lui, con innata maestria e capacità, non solo ne ha cambiato l’etichetta, ma sta concorrendo a farlo divenire l’istituto di pena più importante d’Europa se non uno dei più impegnativi al mondo.

Anni passati a condividere esperienze uniche che solo l’amore per la professione che si svolge riesce a trasformarle in assoluta amicizia.

Non potevo che essere io, quindi, uno dei primi in assoluto ad acquistare il suo libro. E bene ho fatto, come altrettanto bene farebbero coloro i quali non ancora lo fanno, perché il lavoro da lui fatto, tradotto in un capolavoro da una delle case editrici più importanti d’Italia, è davvero uno dei migliori modi per insegnare non solo ad amare il proprio lavoro ma la propria vita.

Una raccolta di episodi che si inquadrano molto bene nel vissuto di chi, come me, vive il rapporto con le carceri italiane nella stessa maniera con la quale ce lo racconta Siciliano.

Storia di una vita normale ma non tanto quella di chi, come Siciliano, con grande merito mi piacerebbe dire, oggi riveste il ruolo di provveditore del più impegnativo circondario penitenziario d’Italia qual è il Provveditorato Regionale del Lazio, Abruzzo e Molise.

“Ho fatto il direttore in tanti modi diversi quanti i posti dove sono stato. Non esiste la verità assoluta, un modo di essere che non tiene conto del luogo dove sei, della sua storia, delle persone che incontri, dei loro limiti e delle loro potenzialità.

Un Uomo è colui che riesce a cogliere il bello in ogni cosa e in ogni persona, senza pregiudizi, senza sovrastrutture che ne limitino la visione e ne condizionino i comportamenti e le scelte. L’Uomo è una meraviglia che ha bisogno di fiducia, di sentirla, di meritarla, magari anche di perderla, sapendo che quella scommessa diventa protagonista del proprio destino”. È questo che mi porto dentro di Giacinto Siciliano.

Nella vita basta leggere quello che ha da dirci una persona innamorata del suo lavoro, come lo è Siciliano, per capire che anche la professione più difficile al mondo può trasformarsi in un qualcosa di enormemente affascinante oltre che importante per i propri ideali personali e culturali.

“Lo Stato forte, lo Stato che fa sentire il suo peso e la sua presenza non è quello che impone i divieti per paura, ma quello che ha il coraggio di mettere le persone davanti alle proprie responsabilità provando a far fare loro scelte diverse. Le lenzuola bianche per Falcone queste erano…ogni testimonianza contro la mafia è un lenzuolo bianco, lo sono state quelle fatte dai detenuti nelle scuole, “Signor Tenente” cantata da Cannavò in pubblico con un inchino finale davanti alla foto di Falcone e Borsellino, la lettura dei nomi delle vittime di mafia e mille altre esperienze come queste, a Opera come nei tanti istituti (come anche quello di Sulmona) dove si ha il coraggio di investire sulle persone. Se avessi dato spazio alla paura, nulla di tutto questo sarebbe mai successo.

Non sono un eroe ma sono fiero di poter dire che la paura condizionasse le mie decisioni, che magari a volte si sono rivelate sbagliate, ma sono sempre state oneste. Così ho servito lo Stato, e così continuerò a farlo”. Giacinto Siciliano è questo.

Una persona capace di trasformare in fatti ciò che il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione chiede a tutti di fare ma che spesso non ti riesce per mancanza di tempo, di spazio o, molto probabilmente, della capacità che si deve avere di farlo.

Solo chi, come me, ha avuto la fortuna di averlo e riaverlo nel cammino del proprio destino professionale può degnamente e senza ombra di dubbio testimoniarlo.

Un ultima cosa… a lui, dopo aver letto il suo libro, devo la guarigione da quello che per me rappresenta il peggiore dei mali: la depressione. D’altronde è lui che mi ha insegnato che ” Non devo trattare il carcere da Carcere, altrimenti qui dentro diventiamo tutti carcerati e carcerieri.”
Grazie Giacinto….

Con innata stima e riconoscenza, Mauro Nardella.