I Fantasmi di Roma. I due macellai della “Ritonna” e le loro “ssarcicce” un po’ troppo… umane

Nel 1600 a Roma esisteva il problema della sofisticazione alimentare che, come vedremo, non era il solo annacquare del vino da parte di osti disonesti. Vi racconterò la storia di due personaggi dei quali, oggi, non rimane più memoria se non i loro poveri fantasmi.

PROLOGO

La vicenda si incentra tutta sul monumento del Pantheon e sulla piazza antistante. Per quanto riguarda i fantasmi, vagano ancora, di notte, da quelle parti, assieme a quello di Umberto I di Savoia e paiono non avere pace.

I romani sono famosi per la ghiottoneria e molte zone dell’Urbe erano (e sono) famose per la degustazione e vendita delle più disparate leccornie. Una delle piazze romane associata per diversi secoli alle cibarie era quella della “Ritonna” o “Rotonda”, la piazzetta del Pantheon.

Allora (siamo nel rinascimento) il posto pullulava di pizzicherie, quelle bottegucce, cioè, di prodotti alimentari venduti “a spizzico”, in modiche quantità. Si trovava di tutto: uova, alici, sale, ma soprattutto formaggi e salumi. I “pizzicaroli” (i pizzicagnoli) non vendevano la loro merce soltanto all’interno di locali autorizzati: l’intera piazza era costellata di bancarelle e baracchini degli ambulanti. Insomma, in barba all’austero millenario monumento, c’era una sorta di vivace mercato rionale.

IL MERCATO IN PIAZZA DEL PANTHEON

Il mercato del Pantheon

Talmente importante era quella piazza che, durante le feste di Pasqua, le salumerie allestivano dei veri e propri monumenti fatti col cibo, creando spettacolari paesaggi e sculture tali da impressionare la folla per la loro opulenza. Si arrivò a gareggiare tra negozi per coloro che avessero costruito il più ardito monumento con affettati, salsicce e formaggi.

Anche Giuseppe Gioacchino Belli ce ne dà conto in una sua poesia del 1833:


De le pizzicarie che ttutte fanno
la su’ gran mostra pe ppascua dell’ova,
cuella de Bbiascio a la Ritonna è st’anno
la ppiú mmejjo de Roma che sse trova.
Colonne de casciotte, che ssaranno
scento a ddí ppoco, arreggeno un’arcova
ricamata a ssarcicce, e llí cce stanno
tanti animali d’una forma nova.
Fra ll’antri, in arto, sc’è un Mosè de strutto,
cor bastone per aria com’un sbirro,
in cima a una Montaggna de presciutto;
e ssott’a llui, pe stuzzicà la fame,
sc’è un Cristo e una Madonna de bbutirro
drent’a una bbella grotta de salame.

I NORCINI

La maggior parte delle botteghe rinomate per la bontà delle carni suine erano quelle gestite da coloro che provenivano da Norcia, un paese umbro. Per questo motivo erano soprannominati “norcini” e le loro botteghe “norcinerie” appellativo che ancora oggi esiste nella Capitale. Tra queste macellerie una in particolare era famosissima per le salsicce prodotte. Queste erano ricercate dai cuochi dei prelati, che, pare, fossero inclini al peccato di gola, uno dei sette Vizi capitali e ritenuti, pertanto, buone forchette. Nella bottega “esercitavano” l’arte del beccaio una coppia di coniugi originari proprio di quel paesino. Preparavano l’apprezzatissimo insaccato al momento davanti al cliente e la clientela amava vederli all’opera nel sotterraneo dove lavoravano le carni.

LA RICETTA DEI DUE NORCINI

Osservare quei due, però, era pericoloso. Mentre il cliente guardava l’uno al lavoro, l’altro, da dietro, gli appioppava una mazzata tra capo e collo tramortendolo. Dopo averlo scannato, lo facevano a pezzi e si peritavano di bruciarne vestiti, testa e ossa, quindi mescolavano i resti del poveraccio alla carne di maiale, producendo le loro squisite salsicce.

IL MISTERO DEI CLIENTI SCOMPARSI

La norcineria maledetta oggi

Iniziò a spargersi la voce che la coppia celasse un segreto. Cosa mettevano nelle salsicce per renderle così gustose? Come mai qualcuno giurava di aver visto dei clienti entrare nella bottega e non farne più ritorno? D’altro canto in meno di due mesi almeno tre persone erano sparite per essere (si seppe dopo) insaccate, precisamente due cuochi ed un facchino. Il primo era lo “chef” del Cardinale della Gueva, il quale avendo detto ad amici e conoscenti che sarebbe partito, non fu cercato da nessuno e i due la passarono liscia.

Stessa cosa con il secondo, il facchino, il quale, dopo la morte della moglie, si era stabilito dal cugino. Questi ne denunciò la scomparsa ma poiché non ci furono indizi che inducessero a pensare chissà cosa, si ritenne avesse fatto ritorno al suo paese. Male andò, invece, col terzo sventurato.

Era il cuoco fiammingo di un alto prelato in via Ripetta. Questi aveva lasciato un suo amico all’osteria dicendogli che sarebbe andato a comperare le rinomate salsicce e che sarebbe tornato di lì a poco.

L’amico del cuoco, preoccupato per il ritardo, andò a cercarlo nella bottega dei due macellai. Qualcosa non lo convinse, forse il comportamento un pochino troppo scostante dei due macellai, sta di fatto che li denunciò. Il capitano di giustizia avviò un’indagine e durante le perquisizioni furono ritrovati, nello scantinato della macelleria, dei resti umani. Il garzone della bottega, successivamente, intimorito dalle guardie, parlò rivelandone la provenienza. Per paura della tortura, inoltre, uno dei due confessò le atrocità.

LA FINE DELLA STORIA

Papa Urbano VIII Barberini

Papa Urbano VIII  li condannò a morte e furono suppliziati proprio davanti al Pantheon: prima uccisi, poi sgozzati e squartati dall’ascia del boia pontificio.

Se qualcuno pensa che la vicenda sia una leggenda, un testo del 1883 di David Silvagni, cita alcuni fascicoli manoscritti dell’abate Benedetti tra i quali è narrata la “esecuzione di giustizia comandata da Papa Urbano VIII l’anno 1638 eseguita nella piazza della Rotonda, nella quale furono accoppati, scannati e squartati due empi scellerati norcini che condivano la carne porcina con la carne umana”.

Da questa storia, a Roma, quando non si sa che fine ha fatto una persona, si dice: “Ha fatto ‘a fine d’i noricini d’a Rotonna” (“ha fatto la fine dei norcini della Rotonda”). Chi lo avrebbe mai creduto eh? Eppure nell’Urbe succedeva anche questo. All’epoca non esistevano i Nas che esercitano controlli sulla qualità del cibo. Temo, però, sarebbero rimasti impietriti davanti a quella macabra sofisticazione alimentare.

Voglio lasciarvi con una domanda destinata ai frequentatori dei ristoranti cinesi: a proposito di ravioli al vapore avete mai visto un cimitero o un funerale cinese in giro?

Buon appetito! Un saluto da un metro e mezzo di distanza.

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