I segreti insondabili dell’Alchimia. Dalla trasmutazione del piombo in oro alla Pietra Filosofale. E oltre…

Per molti l’Alchimia è l’arte di trasmutare i metalli, in particolare il piombo in oro, cosa particolarmente desiderabile.

Immaginate di avere una chilata di piombo e trasformarla in una identica quantità del pregiato metallo, la cosa tornerebbe utile no? Al contrario questa arte è molto di più… .

La disciplina era particolarmente sentita in Inghilterra al punto tale che il parlamento inglese nel 1689 abrogò una legge che vietava la moltiplicazione di oro e argento. Il promotore di questa legge era lo scienziato, Robert Boyle, un autorevole membro della famosa Royal Society che ancora oggi è la più prestigiosa società scientifica al mondo. In verità voleva permettere agli alchimisti di poter continuare i loro studi sulla Pietra Filosofale, gingillo che permetteva, per l’appunto, di trasformare i metalli da quattro soldi in oro.

Sembra quasi un paradosso questa attenzione per una curiosa forma di scienza quando solo un paio di anni prima erano stati pubblicati i Principi matematici della filosofia naturale di Newton,  un testo scientifico di importanza capitale. Per la verità, seppure ricolmo di tanta conoscenza scientifica, lo stesso Newton era un alchimista che mai smise di smanettare storte, forni e crogioli nemmeno dopo la pubblicazione di quel testo!

Il 1600 fu l’anno di maggior diffusione per questa scienza: ci si dedicava gente di tutte le classi sociali non sempre come studio ma, spesso, per arricchirsi col giochetto dell’oro e del piombo. Da allora ad oggi è nota la figura del suo rappresentante per eccellenza: Nicolas Flamel che pare avesse realizzato la pietra filosofale e citato da Victor Hugo nel suo libro “Notre Dame de Paris”.

LA TRASMUTAZIONE DEI METALLI

A quei tempi molti credevano in quest’arte misteriosa e fantastica e tanti furono i testimoni della trasmutazione del mercurio e del piombo in argento e oro. Tanti furono anche i truffatori che con abili giochi di prestigio facevano credere ai “polli” l’avvenuta trasmutazione.

Come facevano a produrre oro? Adesso ve lo racconto e se poi riuscite a produrre il prezioso minerale ricordatevi di me. Si fondeva il vil metallo in un crogiolo. Quando era bello che fuso, al suo interno si gettava un frammento di pietra filosofale avvolta in un pezzo di carta ed ecco là che il metallo diventava oro purissimo. Non avete una pietra filosofale? Allora niente da fare. Si racconta che nel 1667 il medico Helvètius (avevano sempre nomi latini) ricevette da uno sconosciuto una polvere del colore dello zolfo in grado di “trasmutare quarantamila libbre di piombo in oro”. La cosa mi è incomprensibile: se avessi avuto tale polvere l’avrei tenuta per me altro che Helvètius!

MEDICINA ALCHEMICA

La pietra filosofale, però, non era solamente un “convertitore” di metalli: possedeva poteri medicinali. Insomma allungava la vita e conservava le persone in salute. Proprio per questo si sviluppò un’importante corrente di sperimentazione con lo scopo di realizzare elisir dalle proprietà straordinarie. Da questi studi si originò gran parte della chimica e la ricerca nel campo medico tant’è che è ritenuta una protoscienza.

Ruggero Bacone

Roger Bacon (italianizzato in Ruggero Bacone, noi italianizziamo tutto). Era un frate francescano che trasformò questa storia da laica in religiosa. Il concetto di produrre l’immortalità poteva entrare in contrasto con la fede perché avrebbe reso gli uomini quasi dei e questo poteva essere un problema. Pertanto il sant’uomo affermò che con questa scienza non si sarebbe arrivati all’immortalità ma a un  prolungamento della vita tale da raggiungere la longevità dei patriarchi biblici. Sosteneva che, insomma, l’umanità aveva subito un processo di degenerazione che questo tipo di chimica avrebbe potuto rovesciare. Quando si dice “arrampicarsi sugli specchi”.

Taoismo e Alchimia

Nemmeno i cinesi furono immuni da questo tipo di conoscenza, anzi se ne interessarono molto prima degli europei. Il Taoismo, perseguiva, infatti, l’immortalità. Lo studio si divise in due specifiche tendenze: “l’arte di nutrire e prolungare la vita” e “l’arte di non invecchiare e di non morire”.

Pellicano

Tornando in occidente, i farmacisti dell’epoca erano interessatissimi a questa nuova forma di medicina anche se di risultati se ne vedevano pochini. Ecco così che a un altro reverendo, il francescano Giovanni di Rupescissa gli venne in mente una idea: la “quintessenza”. Secondo lui nelle sostanze si nascondeva, in una sorta di stato dormiente, questa strana sostanza. Era il quinto elemento del quale sono fatti gli astri. Distillando e ridistillando una sostanza in un particolare vaso che chiamavano pellicano si otteneva questa sostanza. Per completare l’operazione il liquido doveva essere mantenuto caldo per un mese a una temperatura moderata  simile a “quella del letame di cavallo”. Trascorso questo periodo, la quintessenza era bella che ottenuta in forma solida.

LA QUINTESSENZA E L’ORO POTABILE

Tutto questo ambaradàm del pellicano pare cambiasse le proprietà fisiche delle sostanze. Un esempio? Dall’alcol messo in questo attrezzo si otteneva una quintessenza con un aroma tale che: “coloro che sentono l’odore si credono trasportati dalla Terra al Paradiso, quando avvertono questa fragranza celestiale” Secondo me più verosimilmente s’ubriacavano… .

Anche i metalli furono materiale utile per curare, in particolare, come sempre,  l’oro. Il nobile metallo aveva, però, un difetto: una grande resistenza chimica ed era praticamente inalterabile. Con questa premessa, preparare una pozione da bere diventava una impresa pressoché impossibile e quello che era definito “l’oro potabile” era di là da venire. Un bel giorno qualcuno scoprì l’acido nitrico (si era nel 1300).

Misero insieme l’acido con il sale comune o col cloruro d’ammonio ed ottennero l’acqua regia (non l’acqua raggia), liquido talmente corrosivo da dissolvere il metallo. Non è che si potesse mandar giù una sorsata di quella roba per cui la realizzazione dell’oro potabile ristagnava. Un bel giorno, finalmente, il “prodotto” fece la comparsa in alcune farmacie. Portava il nome della sua realizzatrice, tale Mademoiselle Grimaldi. La preparazione sembrava più quella di una pietanza che di un prodotto chimico. Per farla breve si aggiungeva ad una soluzione di oro ed acqua regia dell’olio di rosmarino. L’olio assorbiva l’oro, poi veniva addizionato con alcol e saltava fuori un liquido rosso che era potabile.

Questa operazione è stata ripetuta ai giorni d’oggi con il risultato che l’oro, di fatto, era finito nell’essenza di rosmarino. Non si capisce, però a cosa potesse giovare dato che il nobile materiale essendo un metallo pesante, intossica l’organismo.  

IL LAVORO ALCHEMICO

Come accennato in precedenza la pietra filosofale era la meta ambita dagli alchimisti. Rappresentava la via alla saggezza e alla conoscenza assoluta. Quasi certamente era l’elevazione dello spirito attraverso lo studio della materia. In altre parole una forma di meditazione sulla realtà.

Lo scopo dell’alchimista era quello di trascendere la propria natura insieme alla realizzazione della pietra dei filosofi; insomma cambiava il suo stato da “essere fisico” a “essere spirituale”. Il suo indagare spesso ruotava attorno alla domanda: “come diavolo è fatta la materia e come si può modificare?” Facendo questa ricerca, alla fine, modificava sé stesso. Il fatto che la “pietra” riuscisse più o meno a trasformare in oro ogni cosa e donasse la vita eterna, era solo un sottoprodotto della conoscenza assoluta tanto desiderata.

PERCHÈ L’ORO?

L’oro aveva una duplice funzione. Da una parte rappresentava l’elevazione spirituale dell’achimista, dall’altra era l’unico metallo inalterabile utile come catalizzatore in diverse reazioni chimiche.

Il biondo metallo aveva anche un forte valore simbolico. Stando ai neoplatonici  tutto ha alla base una sola sostanza aurea primordiale, uguale per tutti ma in proporzioni diverse. Nell’esoterismo generalizzato, l’oro rappresenta il sole e i principi divini. Era il simbolo di Ra per gli antichi egizi. In India è considerato simbolo di verità e illuminazione.

CHI SCOPRÌ LA PIETRA FILOSOFALE?

Nicolas Flamel

Pochi la scoprirono o ne ebbero mai una. Si dice che Flamel la possedesse e che, pertanto, non sarebbe mai morto cambiando, però, il suo nome nel corso dei secoli. C’è chi giura che il famoso Ebreo Errante fosse lui stesso.  

La sua scoperta è stata poi attribuita anche a Federico Gualdi, membro dei Rosa Croce il quale ci lasciò una formula per la sua realizzazione ed eccola qua: “Vi è un membro nell’huomo, il quale consta di sei elementi, al quale se aggiongerai il P et mutarai l’S in M, questo è il nostro metallo et pietra de’ filosofi: il piombo dei filosofi o l’antimonio (ma per via fissa).” La “fissazione”, per chi lo volesse sapere, sarebbe una sorta di solidificazione di qualcosa volatile. Mi obbietterete che non ci si capisce niente ebbene è così, tutti i libri alchemici sono di questo tenore e la simbologia era nota solo gli iniziati, agli autori dei testi e di questi ultimi manco a tutti… .

Scrisse a questo proposito l’alchimista arabo Artefio:

Povero stolto! Sarai così ingenuo da credere che
ti insegniamo apertamente il più grande e il più
importante dei segreti? Ti assicuro che chi vorrà
spiegare secondo il senso ordinario e letterale
delle parole ciò che scrivono i Filosofi Ermetici si
troverà preso nei meandri di un labirinto dal quale
non potrà fuggire, e non avrà filo di Arianna
che Io guidi per uscirne.”

E questo taglia la testa al toro!

Tornando a noi anche  Giacomo Casanova pare avesse la sua pietra e anche il Conte di Saint-Germain del quale si dice fosse un diverso nome del sempiterno Flamel. Anche Cagliostro sostenne di possederla.

L’HOMUNCULUS ALCHEMICO

Paracelso

Non di sole pietre si occupavano gli alchimisti, ma nel loro profondo studio della materia tentarono di creare la vita. Ecco come volevano realizzare un Homunculus, cioè un essere vivente.

L’homunculus è un esserino delle fattezze umane prodotto seguendo un particolare procedimento. Nel De Natura Rerum, Paracelso (il suo vero nome era: Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim ma quando lo declinava credevano tutti che scherzasse) ne parlò per la prima volta. Ecco come, secondo lui, nel 1537, si poteva confezionare un piccolo essere vivente.

Se il seme umano, chiuso in un’ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellito per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzato, comincia a muoversi e a prender vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante, prenderà l’aspetto di bambino nato di donna, ma molto più piccolo. Chiamiamo un tale essere homunculus e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all’età adulta, quando otterrà giudizio e intelletto …”. A cosa serviva questo esserino? Era un un minuscolo servitore dall’intelligenza sovrumana, messa al servizio dell’alchimista nella sua opera.

Il conte Kueffstein

L’Homunculus in vitro

Si racconta che durante i suoi viaggi in Italia, il conte Kueffstein conobbe l’abate Geloni. Non sapendo cosa fare, insieme realizzarono dieci omuncoli: un re, una regina, un architetto, un monaco, un minatore, una monaca, un serafino, un cavaliere, uno spirito azzurro e uno rosso. Erano conservati ciascuno in un recipiente pieno d’acqua. Furono interrati in una aiuola e annaffiati per quattro settimane. Dissotterrati gli esserini erano cresciuti. Gli uomini avevano la barba e le donne erano belle. Vestiti dall’abate il re aveva corona e scettro, il cavaliere spada e lancia, e la regina un costoso collier. Era necessario alimentarli ogni tre giorni secondo alcune ricette segrete badando bene a che gli esserini non scappassero.

Il conte tornato a Vienna mostrò le sue creaturine alla loggia Rosacroce locale. Si dice che uno degli spettatori fu espulso perché osò chiamare gli omuncoli “orribili rospi”. I maligni dicono che fossero veramente dei rospi rivestiti. Un racconto sulla creazione di più esseri viventi è presente anche nel libro di Umberto Eco: “Il pendolo di Foucault” completo anche della procedura di messa a dimora delle ampolle e del loro riscaldamento a base di letame.

CONCLUDENDO

Non ho voluto assillarvi con le pubblicazioni storiche fatte dagli alchimisti nei secoli o dai loro libri sacri che risalgono agli egiziani: a voler scrivere della materia ci vorrebbero fiumi di inchiostro. La cosa importante è che lo studio alchemico ha lasciato in eredità una conoscenza scientifica anche se non volutamente. Alla fine, forse, i veri sperimentatori agli albori della chimica furono proprio loro. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.

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