Ispirata da un’opera italiana, realizzata da un “garibaldino” e ha il volto della consorte del fondatore della Singer: è la Statua della Libertà

Quando penso alla Statua della Libertà mi viene in mente una macchina da cucire. Non voglio essere un dissacratore di quell’opera che è stato il culmine del pensiero dell’Età dei Lumi francese, immenso dono della Francia illuminista al Giovane Continente a simbolo della luce della libertà (e della ragione)  che Illumina il mondo.

Che poi vallo a raccontare ai razzisti dei stati del sud degli USA. Nel seguito di questa piccola trattazione vedrete che la mia affermazione sulle attrezzature da sartoria ha una sua sostanziale base.

Bartholdi

Nel 1865, in una conversazione l’intellettuale francese Edouard Laboulaye, presidente della Société française pour l’abolition de l’esclavage (Società francese per l’abolizione dello schiavismo) e sostenitore dell’Unione nella Guerra di Secessione americana, se ne uscì con questa frase: ”Se un monumento deve sorgere negli Stati Uniti come un ricordo della loro indipendenza, devo credere che sia naturale realizzarlo con sforzi comuni, un lavoro comune delle nostre due nazioni: Francia e America.” Lo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi sentita l’uscita dell’intellettuale se ne fece carico e lo realizzò (N.d.A. lo sapevate che Bartholdi era stato un garibaldino? Ora lo sapete.).

Lo scultore aveva una fissa per il leggendario Colosso di Rodi tant’è che s’era recato in Egitto per esaminare la proposta di una statua faro da collocare sul Canale di Suez. Manco a dirlo l’opera rimase nel dimenticatoio, ma servì a piantargli ancor più profondamente quel chiodo nel cervello.

Per farla breve, raccolti un po’ di fondi, i lavori iniziarono presso il cantiere della Gaget & Gauthier al n. 25 di Rue de Chazelles. Curiosamernte il nome della fonderia passerà alla storia perché da una sua storpiatura avrà origine il termine  “gadget”, che indica  l’oggettistica fatta da piccoli prodotti omaggio. Il 28 ottobre del 1886, infatti, durante l’inaugurazione del monumento a New York, il pubblico presente ricevette, come ricordo, delle miniature della statua fabbricate proprio dalla società francese Gaget Gauthier. Siccome per gli americani, pronunciare correttamente il cognome Gaget era difficile, nacque il termine “gadget“.

Storia particolare merita la testa del monumento

Prima di essere donata agli Stati Uniti il capoccione della statua era stato esibito all’Expo di Parigi. Il buon Bartholdi, lo scultore lo realizzò probabilmente per sponsorizzare la costruzione del monumento e raccogliere il denaro necessario. Insomma, alla fine gli rimase ‘sta capoccia sul groppone e la rifilò al comitato per la costruzione della statua. Collocata la capoccia sulla statua, dopo l’inaugurazione, si accorsero che era fuori asse di sessanta centimetri. La sistemarono? No è ancora così.

Isabel Boyer e Charlotte Bartholdi

Isabel Eugénie Boyer, chi era costei? Ce lo domandiamo quali novelli Don Abbondio davanti al nome di Carneade. Ebbene, stupite, è il volto della Statua della Libertà. La donna era la vedova del creatore delle macchine da cucire Singer ed ecco che la mia premessa trova la sua spiegazione.

Quando Bartholdi. incontrò Isabel rimase affascinato dal suo volto (della donna) e decise che sarebbe stato quello della erigenda statua. Altri sostengono che il viso del monumento  raffigurasse quello della madre dello scultore, Charlotte, ma io protendo per la più romantica idea della Boyer, assurta a simbolo della libertà (e a perenne pubblicità della Singer).

Nella realizzazione dell’opera, date le dimensioni, esisteva un problema enorme: il peso e la statica. Come ovviare alla cosa? Copiando gli italiani, naturalmente.

Così Bartholdi se ne venne in Italia, ad Arona, in Piemonte, dove esisteva già la statua più alta del mondo dell’epoca: il Colosso di San Carlo Borromeo, o Sancarlone, realizzata tra il 1624 e il 1698 da Siro Zanella e Bernardo Falconi su progetto di Giovan Battista Crespi.

La statua del Sancarlone si regge grazie a uno scheletro interno fatto di pietra, mattoni e ferro, mentre l’esterno è costituito da lastre di rame, molto sottili , battute a martello direttamente sulla struttura di supporto e successivamente unite per mezzo di chiodi. Ebbene la statua americana mutua la struttura proprio da quella italiana.

Studiata la statua nei minimi particolari, si fece aiutare da Eugène Viollet-le-Duc, un suo ex-professore di architettura, che progettò per lui la struttura interna di mattoni. Caso volle che al professore prese un coccolone e passò a miglior vita senza lasciare un minimo di informazioni su come realizzare strutturalmente l’opera. Cosa fare?

Per risolvere il problema ci si mise di buzzo buono Gustave Eiffel quello della Torre. Disse fra sé e sé:- “t’ho fatto una torre vuoi che non ti faccio una statua?”. Così “subappaltò” il lavoro al socio Maurice Koechlin, il quale studiò una struttura simile ai piloni sui quali poggiava il viadotto di Garabit sul fiume Truyère, ultimo nato della compagnia Eiffel. Come il Sancarlone la struttura ebbe il suo rivestimento: trecento lastre di rame scolpito che la ricoprirono completamente.

La figura della donna, prende ispirazione da diversi modelli storici tra i quali la dea egizia Iside o altre figure come l’assiro-babilonese Semiramide e rappresenta la dea romana della Libertà: Libertas.

La diciamo tutta?. Ebbene a Milano, sulla facciata del Duomo, si erge una scultura intitolata “La Legge Nuova” realizzata da Camillo Pacetti nel 1810. Sembrerebbe che lo scultore francese si sia ispirato a questa opera quando mise mano alla Statua della Libertà. Guardate la foto e ditemi se non è vero.

Gli Stati Uniti presto celebreranno il centenario della propria indipendenza” recitava un annuncio pubblicato su tutti i giornali francesi la mattina del 28 settembre 1875. “Il grande evento, che avrà luogo il 4 luglio 1876, ci darà modo di festeggiare con i nostri amici nordamericani l’antica e sincera amicizia che unisce da tanto tempo le nostre nazioni […].

In mezzo al porto di New York, in un’isola che appartiene all’Unione degli Stati, di fronte a Long Island, dove fu versato il primo sangue per l’indipendenza, sorgerà una statua colossale […] che rappresenterà la Libertà che illumina il mondo […] Il monumento sarà costruito da entrambe le nazioni […] Noi gentilmente offriremo la statua ai nostri amici nordamericani che, da parte loro, faranno fronte alle spese di costruzione del piedistallo“. Nell’annuncio la statua appariva come un regalo francese per il centenario della guerra che, tra il 1775 e il 1783, aveva reso le colonie inglesi d’America indipendenti dalla madrepatria.

Quando gli americani seppero del dono che stava per piombare loro tra capo e collo non potete immaginare la gioia… . Siccome a loro carico era la costruzione del piedistallo che doveva sostenere la statua, cacciare quei soldi proprio non andava giù: Sarebbero state meglio un po’ di casse di champagne col cui contenuto fare un bel brindisi alla salute della ottenuta indipendenza e basta.

Il governo americano, dal canto suo, non voleva sborsare un dollaro: in fondo solo la città di New York avrebbe beneficiato della statua e non l’intera nazione. Lo stesso stato di New York si rifiutò di stanziare i fondi. A risolvere il problema ci pensò l’editore Joseph Pulitzer (quello del premio omonimo), fondatore del quotidiano New York World che si battè con tutti i mezzi per sensibilizzare l’opinione pubblica. Voleva far capire agli americani che quella statua era il simbolo dell’intera America tutta e non di una città sola. Ma di soldi manco a parlarne.
Pulitzer avviò una sottoscrizione invitando chiunque credesse nel progetto a dare il suo contributo, anche se minimo. Alla fine la sfangò ed i soldi iniziarono ad arrivare. L’iniziativa procurò 102000 $ (2,3 milioni di dollari di oggi).

Come un mobile dell’Ikea, in trecento pezzettini stipati in 214 casse, la statua arrivò a New York con una piccola nave, l’ “Isère”, che quasi naufragò per recapitare il tutto. Solo dopo un anno e mezzo gli americani si decisero a rimettere insieme i pezzi della statua: l’architetto Richard Morris Hunt aveva finalmente terminato quel basamento tanto discusso .

la statua che doveva essere pronta per il centenario della Dichiarazione d’Indipendenza, nel 1876, in realtà ebbe la sua brava inaugurazione solo dieci anni più tardi. Quaranta anni dopo, nel 1924, il colosso divenne monumento nazionale. Una poesia ad esso dedicata da Emma Lazarus, The New Colossus, recita fra l’altro: “Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste a me, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata“. Ora quelle parole sono incise su una targa nel basamento della statua e rappresentarono il benvenuto ai tanti emigranti.

Pare che Il dono “ufficiale” del governo Francese all’America in realtà celasse un regalo dei massoni francesi ai confratelli americani. Bartholdì stesso era un massone e vale ricordare che Benjamin Franklin che ricopriva la carica di Gran maestro provinciale della Pennsylvania soggiornò a lungo in Francia.

Ricordate Laboulaye L’uomo che diede il via all’idea della Statua della Libertà? Auspicava un futuro nel quale i segreti massonici sarebbero stati rivelati al popolo. Dove? Ma negli Stati Uniti, il paese nel quale i coloni avevano portato “la torcia del Vangelo”. È possibile, quindi, che Laboulaye avesse condiviso le proprie convinzioni con Bartholdi. A dirla tutta la torcia impugnata dalla statua sembra proprio presa in prestito dal repertorio massonico, dove il “portatore di torcia” simboleggia il sole della rivelazione iniziatica.

Perché la statua ha quelle punte sulla corona? Rappresentano i sette mari e i sette continenti nei quali si voleva che venisse diffuso il concetto universale di libertà. Le punte della corona intendono rappresentare (così dicono) l’interconnessione e l’unità globale del genere umano, celebrando gli ideali di libertà, democrazia e uguaglianza. Le 25 finestre, invece, sono considerate ”gioielli” che rappresentano i raggi del paradiso che risplendono sulla terra.

Nella sua mano sinistra, Lady Liberty, così la chiamano affettuosamente gli americani, stringe un libro che reca la scritta “July IV MDCCLXXVI” (4 luglio 1776): la data in cui i padri costituenti firmarono la Dichiarazione d’Indipendenza americana. Oggi è il giorno in cui gli Stati Uniti, per festeggiare, diventano una sorta di Piedigrotta e sparano botti a non finire ma senza andare all’ospedale.

Se ci fate caso, ai piedi della Statua della Libertà ci sono delle catene spezzate. Vogliono simboleggiare la liberazione dall’oppressione e dalla schiavitù. La statua compie un passo in avanti con il piede destro a rappresentare il cammino verso una nuova epoca. Un pensiero ardito me lo fate fare? Chissà se quelle catene rappresentano il Prometeo liberato che rubò il fuoco agli dei?

La statua si trova su un isolotto: Liberty Island la cui storia risale agli inizi del XIX secolo, quando era conosciuta come Bedloe’s Island. L’isola, nel 1886, vide l’inaugurazione della la Statua della Libertà, che segnava l’amicizia tra Francia e Stati Uniti . Da allora è diventata un’importante attrazione turistica.

Voglio terminare con una considerazione: conoscendo la natura colonialista dei francesi, basti pensare all’Africa, è mai possibile pensare che il dono della Statua sia stato un “cadeau” frutto di una magnanima liberalità? In realtà l’indipendenza americana fu foraggiata dalla Francia che, divenuta “pappa e ciccia” con gli insorti prestò fior di danaro e di armamenti a quella gente d’oltreoceano. Tra l’altro, costoro, volevano affrancarsi dalla tirannia britannica di quell’Inghilterra che confinava con le galliche genti e che le contendevano non solo il mare ma anche le terre da colonizzare.

Penso, nella mia immensa cattiveria, che la Statua della Libertà sia stata una sorta di grosso “nodo al fazzoletto” per ricordare al Nuovo Mondo il debito morale e materiale nei confronti del paese del Camembert. Se ci fate caso, ancora oggi, gli Stati Uniti paiono essere tampinati dalla Francia che sembra stargli appresso calcando le sue stesse orme.

Un saluto.