La “Selva Oscura” di Dante metafora o luogo reale? In tanti giurano di averla trovata In Italia: vi diciamo dove

Uno degli orifizi naturali più ricercati al mondo, tolti quelli anatomici, è l’ingresso dell’Inferno dantesco (badate bene: quello dantesco e non altri sparsi per il mondo).

Quando il sommo poeta Dante languiva in esilio, probabilmente, mai pensava che avrebbe composto una delle più grandi opere letterarie dell’umanità: La Divina Commedia. Tanto per saperlo, l’attributo di “Divina”  lo assegnò al poema, il Boccaccio che di cosa divine non è che ne masticasse molto, ma tant’è.

Quando vergò il suo lavoro, all’epoca, Alighieri era ritenuto un intellettuale e un sapiente di prima categoria. La sua istruzione all’ombra delle arti liberali del Trivio e del Quadrivio ne faceva una delle persone più colte dei suoi tempi.

Il Nostro era talmente geniale da scrivere il “De Monarchia”, un trattato nel quale discettava nientemeno che della separazione del potere temporale da quello spirituale. Filosofi e patrioti, secoli dopo dopo, parlarono di libero Stato e libera Chiesa, ma il nostro aveva affrontato già il problema in tempi “religiosamente pericolosi”. I malpensanti obbiettarono che era una “marchetta” per ingraziarsi i favori dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo che stava arrivando nella Penisola, di quelle che gli intellettuali dell’epoca (ma anche di oggi)  facevano per ingraziarsi (e farsi mantenere) dai potenti.

Pettegolezzi a parte era considerato talmente erudito e colto che qualcuno prese per oro colato quel che scriveva. Così, dopo la pubblicazione della Divina Commedia, molti si diedero da fare per scoprire dove diavolo (è proprio il caso di dirlo) fosse l’entrata dell’Inferno.

Dante collocò il triste luogo sotto la città di Gerusalemme, dove, viste le attuali vicende, sembra essere ancora là. L’ameno ricettacolo di anime empie nacque dalla rovinosa caduta di Lucifero sulla Terra catapultatovi colà dal Padre Eterno. La collisione del satanasso col nostro pianeta creò un profondo cratere a forma di imbuto ai cui antipodi corrispondeva, a causa dell’impatto, un monte: il Purgatorio. Insomma sulla Terra, da una parte si creò un buco e da quella opposta un bernoccolo.

Nella normalità delle cose, il lettore avrebbe detto: ” Vabbè l’ha messo lì ma è pur sempre opera di fantasia” e invece no. Nel corso dei secoli molti novelli Orfeo si sono cimentati nella ricerca del dantesco ingresso agli inferi senza cavarne un ragno dal buco, spesso dimentichi che la persona che guidava Dante era Virgilio.

Quest’ultimo era l’autore dell’Eneide, colui che immaginò la fuga di Enea, un migrante ante litteram, il quale, scappato dall’incendio di Troia, approdò nel Lazio col suo barcone. Il virgiliano intendimento era quello di contentare Augusto fornendo qualche lombo di nobiltà a quella Roma imperiale che, in verità, era di ben umili origini. Ironia della sorte finì col far passare i romani da extracomunitari turchi perchè in Turchia stava (e sta) Troia.

Per farla breve era un po’ come se Dante avesse premesso, strizzando un occhio: “Guardate che chi conduce è uno che si inventa le cose, non prendete tutto per vero, capite a me…“.

Molti si dedicarono alla ricerca della selva oscura e dell’ingresso all’Ade descritto nel Poema. In questa breve stesura tenterò di descrivere ricercatori e scoperte.

Non tutti sanno che il grande fisico si dedicò anche al calcolo delle dimensioni dell’inferno dantesco immergendosi in infinite superfetazioni mentali e localizzò il posto nel Lago d’Averno a Pozzuoli.

In effetti quel luogo era già considerato, in passato, una delle “porte” per raggiungere l’Inferno nelle viscere della terra. Siccome era uno che approfondiva le cose, indicò pure la “selva oscura” che sarebbe il fitto bosco attorno al lago e che arrivava sino alla Solfatara di Pozzuoli. La stessa location, tanto per informazione, utilizzata dal grande Totò nel film “47 morto che parla”.

Sembra ancora di udire l’attore (anche lui sommo) recitare: “Se noi organizzassimo un bell’inferno, con fumo, fiamme, anime vaganti … Ma dove lo troviamo l’inferno, noi? … A un chilometro da qui, ai Campi Solfurei. Allora, andiamo tutti all’inferno!” D’altronde, la guida di Dante, Virgilio, morì proprio nel capoluogo partenopeo dove ancora oggi si trova la sua tomba.

Molti, sembrerebbe, che si siano affrettati a rincorrere quella che potrebbe essere una suggestiva “napoletanata” mi si consenta il termine. Che poi, secondo me, la Santa Inquisizione, stremata da tutti quei calcoli infernali di Galileo se lo volle togliere di torno esiliandolo ad Arcetri dove ( ci crederete?) ricevette la visita del grande poeta inglese John Milton. Questi un bel giorno se ne uscì col suo poema epico “Il Paradiso Perduto” organizzato, guarda un po’, in dodici libri a imitazione della suddivisione dell’Eneide di Virgilio… .

Dante nella grotta di Tolmino

All’inferno si entra dal Friuli: volete sapere perché? Il ghibellin fuggiasco, nelle sue peregrinazioni, arrivò anche a Pola dove, la vista dell’orrido della Tolminka, un affluente del fiume Isonzo, catturò la sua attenzione. In particolare la vista del grotta di Zadlaška successivamente battezzata come “grotta di Dante”. Pare che questa fosse stata l’ispirazione per il cantico dell’Inferno.

Il Sommo Poeta mise piede da queste parti quale ospite di Pagano della Torre, patriarca di Aquileia, il quale, però, essendo guelfo più di tanto non voleva tenerselo intorno. Penna, calamaio e gambe in spalla troviamo, quindi, Dante presso il castello di Tolmino, ospite del Conte di Gorizia Enrico II. Quest’ultimo, ghibellino, conobbe l’Alighieri a Verona alla corte di Cangrande della Scala il quale non solo era suo amico ma anche protettore dell’esiliato poeta. 

A riprova della cosa, consultando la stampa della Commedia, presa dal Codice Bartoliniano dai fratelli Mattiuzzi nel 1823 a Udine, ecco là una calcografia di Dante alla grotta di Tolmino incisa da Federico Lose. 

Secondo lui dove passò Dante per raggiungere gli inferi? Che domanda…  da Prato senza dubbio! Ne era talmente certo che  in alcuni suoi scritti lo indicò chiaramente: la porta dell’Ade si trova a Galceti città natale di Malaparte.

Cosa racconta lo scrittore? “La memoria dei pratesi vuole che per la strada di Figline si scenda all’Inferno. Dante è passato di lì, lungo la Bardena: la selva selvaggia è la pineta di Galceti”. “Alcuni anni or sono un barrocciaio di Coiano, che io ho visto e conosciuto da vicino, entrò una volta in una cava di marmo verde abbandonata da secoli, proprio sotto la terza gobba del Monferrato, presso Figline, e n’uscì col viso bruciato, mezzo cieco e sordo, ammutolito dallo spavento. Si chiamava Agenore. Dal suo cappello, trovato sotto un sasso all’entrata di una cava di marmo verde, in fondo alla pineta di Galceti, si capì ch’era sceso all’Inferno, tutto vestito e con i piedi nelle scarpe, come Orfeo”.

Possiamo mai mettere in dubbio la parola di Curzio Malaparte? Mai! Però, c’è un però: sembrerebbe che nel Lazio ci sia il vero accesso al dantesco mondo dei morti o meglio: la Selva Oscura… .

Secondo alcuni ricercatori (che a ricercar ricercatori se ne trovano a iosa), la faggeta vetusta del Monte Cimino sarebbe nientemeno che la “Selva Oscura” nella quale si ritrovò il povero Dante. Dove sia la porta infernale non lo sappiamo, intanto abbiamo l’oscuro bosco.

Il Sommo Poeta, in effetti, aveva una certa frequentazione con il viterbese tant’è che l’unico Papa da lui posto in Paradiso fu  Giovanni XXI, detto l’Ispanico, eletto a Viterbo. Non solo fagioli e salsicce, dunque, ma anche apprezzamento della zona. Nel XIV canto dell’Inferno, Dante paragona il ruscello che si dirama dal fiume infernale Flegetonte alle acque che uscivano (ed escono) dal Bulicame di Viterbo, una piscina termale sulfurea le cui acque scorrono tra argini di pietra calcarea emanando vapore e le cui rocce calcaree assumono una colorazione rossastra.

Da qui a dire che la Faggeta sia la selva oscura, però, ce ne corre! D’altro canto, se seguiamo le peregrinazioni di corte in corte del Poeta, noteremo che rimbalzò da una parte all’altra dell’Italia come la pallina d’un flipper e in ogni dove potremmo trovare probabili selve e antri.

Tanta fatica se vogliamo, testardamente, cercare qualcosa che forse non esiste e che è solo rappresentazione allegorica. La selva simboleggia il peccato dove il buon Dante vaga avendo smarrito la retta via. Doveva per forza essersi ispirato a qualcosa? E la porta dell’Inferno? Se la sarà inventata. Certo la cosa fa comodo alle varie pro loco ma non esageriamo… .

Una precisazione: questo articolo mi è stato richiesto dal Direttore di codesto giornale il quale mi disse: “Leo, hanno ritrovato la selva oscura nel Lazio, guarda che poi fa…” Naturalmente la garbata richiesta d’un direttore è un ordine ed eccomi qua. Se l’articolo vi è piaciuto ditelo in giro, altrimenti… fatevi i fatti vostri!

Un saluto