Le “trumpate” non funzionano: cosa accade quando la più grande potenza del mondo cade in mano a Otello Celletti, il vigile interpretato da Alberto Sordi

Mai avrei pensato che l’Albertone nazionale (pace all’anima sua) risorgesse nei panni del vigile Otello Celletti a guidare gli Stati Uniti d’America: eppure eccolo là!
Vedere il ricco americano presentarsi all’Europa con quel suo piglio deciso mi ha ricordato, nel discorso di insediamento, il film “Il Vigile” nella scena in cui Alberto Sordi (Otello Celletti) si presenta alla famiglia in divisa:
“Otello: Beh, che è, ve metto paura?”
Figlio di Otello: “Papà me pari un marziano!”
e sempre dello stesso film la battuta: “Anche se non ve serbo rancore, ve dico ‘na cosa sola: state attenti a come ve movete.” cosa che rappresenta un bell’incipit alle relazioni con l’Europa.
L’ECONOMIA

Non comprendo cosa passi per la mente del magnate statunitense, ma sembra che abbia sbagliato alcuni conti e se non lui qualcuno del suo entourage. Risultato? Ora si trova sempre più solo. Persino il gatto di casa, Elon Musk, gli ha detto “miao!“, ha alzato la coda e se ne è andato prima che la bufera in corso coinvolgesse ancor più le sue aziende.
I suoi plauditores cominciano a prendere le distanze perchè mal glien’è incolto. Il patron della Apple, tanto per cominciare, ha dovuto spostare le sue linee di produzione dalla Cina all’India, naturalmente sempre in un posto dove la manodopera è gestita a frustate e l’infanzia sfruttata è una grande risorsa!
DAZI, SEMPRE DAZI, FORTISSIMAMENTE DAZI

Prendersela con l’Europa a colpi di dazi non sembra una idea particolarmente ficcante anche perché se il “vecchio continente” è così definito, avrà anche una lunga esperienza. Per un verso o per l’altro bisognerà che gli USA facciano i conti con questa realtà: gli europei son sempre vecchie volpi.
Nel frattempo un tribunale federale ha bloccato i dazi: la motivazione è che la legge d’emergenza allora invocata da Trump (l’International Emergency Economic Powers Act del 1977) non conferisce al presidente il potere di far dazi a suo gusto. In sostanza, il tribunale di New York afferma che la Costituzione degli Stati Uniti attribuisce solo al Congresso i poteri per regolamentare il commercio con le altre nazioni e che tale potere non è sostituito dal mandato del presidente di salvaguardare l’economia federale. Staremo a vedere la sua risposta. Al momento si è rivolto a quei giudici dicendo: “vi faccio causa“.
Alla fine il gatto è scappato, i sorci abbandonano la nave e il vecchio leone si ritrova a fare i conti con una cosa che si chiama economia e che non fa prigionieri nella sua diuturna guerra.
Elon Musk, il saltellante fan del governo, tra una Tesla scoppiata, il solito missile che esplode in cielo, ha visto dissolversi miliardi di dollari. Quando fu eletto Trump affermò: “È così che ci si sente quando si vince, Sono super entusiasta per il futuro… uno dei valori americani che amo di più è l’ottimismo”. Attualmente l’ottimista, dimissionario dallo staff presidenziale, è stato visto dare di testa a un muro dicendo. “ ma chi ca..o me l’ha fatto fare?”.
LE PERDITE DEI SOSTENITORI

Un giorno il parruccoso Presidente statunitense ha convocato la sua danarosa corte e ha detto, forte della vittoriosa lotta a colpi di catetere con Biden: “A’ regà mo je damo ‘na botta a st’europei che vedi…” e patapunfète è arrivata una piattonata tra capo e collo a tutti che ancora si devono riprendere. Ma quante sono state le perdite del coretto di miliardari che erano lì ad applaudire Trump? Elon Musk dall’inizio dell’anno ha perso 135 miliardi di dollari, una cifra pari al patrimonio di Bill Gates.
Jeff Bezos, fondatore di Amazon, si domanda dove siano finiti i 42,6 miliardi di dollari che gli mancano all’appello e ha deciso, per rientrare delle perdite, di consegnare personalmente i pacchi porta a porta.
Mark Zuckenberg ha immolato 24,5 miliardi di dollari sull’altare di Trump. Anche altri sostenitori hanno perso qualche soldino. Larry Ellison di Oracle aveva incontrato il presidente il giorno dopo l’insediamento per studiare un piano infrastrutturale da 500 miliardi di dollari basato sull’intelligenza artificiale. S’è girato un secondo e… zak! Sono andati in fumo 28 miliardi. Stephen Schwarzman, cofondatore di Blackstone non voleva sostenere la campagna di Trump, suo amico, poi ha detto: “ma si, dai…” e ci ha rimesso 11 miliardi.
IL BRUTTO COLPO!
Erano tutti lì, il giorno dell’insediamento, in prima fila, ad applaudire ed ora son là, mezzi intronati, tentando di capire cosa è successo, prendendosi a schiaffi l’un l’altro.
Anche Donald non se l’è cavata bene: il suo patrimonio è sceso di 1,5 miliardi di dollari da quando ha assunto la guida del Paese. Il crollo del 35% delle azioni subito dalla sua Trump Media & Technology Group, ha riportato un calo quattro volte maggiore rispetto a quello del mercato.
A prometterle l’ha promesse a tutti tranne che a Putin, in quanto alla Cina, poi è partito con uno schiaffo ed è arrivato con una carezza. Più che darle pare le abbia prese: ci hanno pensato i mercati internazionali. Quando la maggior parte degli AD si sono svegliati la mattina con la borsa in ribasso si son chiesti: “Ma l’America non doveva tornare grande?“. Accesa la tv l’hanno visto lì, ritto come un monumento su un cumulo di macerie, con un’aria orgogliosa come a dire: “sono stato bravo eh??“. L’immagine di questa corazzata arenata in uno stagno che invece di sparare bordate è costretta a lucidare i proiettili è triste cosa.
LA LAVAGNETTA

Fatemi fare una considerazione. Quando arrivò il Boss, tutto circonfuso di salamelecchi, cominciò una sua routine che aveva per base una cosa: botte da orbi a tutti. Armato di lavagnetta lo troviamo davanti ai giornalisti a illustrare l’ammontare dei ceffoni daziari che intendeva tirare alla rinfusa, prima tra tutti la Cina seguita a ruota dall’Europa: l’impressione che fece? tutti si dissero un pietoso “salutatelo finchè vi riconosce…“. Negli USA, a causa della sua ferma politica economica governativa, è stato coniato il termine TACO “Trump Always Chickens Out”. Tradotto letteralmente: “Trump torna sempre sui suoi passi all’ultimo minuto per paura“. Il riferimento è ai continui dietro front del presidente statunitense sui dazi, prima annunciati e poi fermati.
A meno che tutta questa muscolarità sia uno spettacolo ad uso e consumo americano sembrerebbe essere un maldestro tentativo di “divide et impera” mirato a sfaldare la U.E. .
POVERA EUROPA…
Non che il Vecchio Continente sia pieno di santi, ma cosa gli ha fatto che non poteva essere trattato a tavolino? Se è vero che nel dopoguerra c’è stato il piano Marshall del che ringraziamo, è pur vero che gli “alleati” hanno potuto, di contro, mettere basi militari su tutto il vecchio continente, controllando terra, mare e cielo. Da noi sono trattati da signori: vuoi buttare giù la funivia del Cermis? Prego accomodati, vuoi ammazzare la Kercher e che problema c’è?
SIAMO GIUNTI A IONESCO
Al grido di “Se volete dazi zero, venite e produrre in America” il Presidente lancia la sfida al mondo, ma quest’ultimo lo starà a sentire?
Tutta la vicenda, compreso il teatrino mediatico, pare una pièce cabarettistica dove si propone una immigrazione al contrario: si va negli Usa a portare lavoro e non a cercarlo. Ionesco spunta da dietro le spalle del Tycoon: il poliformismo dei riccastri americani fa sovvenire “i rinoceronti” del commediografo francese.
IL SOGNO ASSURDO

Piroscafi carichi di manager partono dall’Europa per giungere nei campi di immigrazione statunitense. Son tutti lì che anelano portare lavoro agli americani. Ce la faranno? Pare udire il grido di quello che per primo, sulla coperta della nave, avvistata la Statua della Libertà esclama a piena voce: “Eccola! Siamo arrivari in America!” e tutti ad affollarsi e a spingersi per vedere Liberty Island.
Non è l’arrivo nella terra promessa è la terra promessa che arriva negli USA. Approdano i portatori di lavoro d’oltreoceano che vanno lì a sfamare gli alleati della guerra d’un dì. Giunti al porto, tutti in fila, valigette di pelle alla mano e rolex al polso, sbarcano per raggiungere i tavoli dell’immigrazione onde essere schedati. Sennonchè (Ionesco ci aiuti!) il governo americano, guarda un po’, non vuole immigrati ed ecco i manager rispenditi nelle loro patrie e allora che si fa? Lo portiamo o no ‘sto lavoro? il TACO avanza. Ma torniamo alla realtà.
LE TRE GRAZIE
“Tre donne intorno al cor mi son venute” diceva il Sommo Poeta e tre sono i guai che il mondo deve affrontare: Xi Jinping, Putin e Trump. Tre capocce blindate di quelle che non sono cave all’interno ma tutt’osso. Trump mette i dazi per la Cina? Xi Jimping li mette agli Usa, Trump chiede a Putin una tregua per trattare con l’Ucraina e Putin continua a bombardare. Tre personaggi già avviati sul viale del tramonto della vita che sanno solo saper flettere i muscoli e che potrebbero pensare, invece, nei loro ultimi anni di vita, al bene di tutti!

Con questi tre “nun se po’ sta’ tranquilli” eppure ce li dobbiamo tenere. Il grave è che intorno a loro pare non esistano consiglieri in grado di fornire suggerimenti che non siano leccate di scarpe. Siamo all’apoteosi dei panni gialli, quelli, sapete, che si usano per tirare a lustro le tomaie. Dimenticavo… attenti che manca ancora il matto Coreano che non scherza!
Un saluto stanco e disgustato
LEO Vito