Mangiare o no l’agnello a Pasqua? Risolviamo il “dilemma” riscoprendo usi popolari e religiosi nel corso dei secoli. E poi ognuno faccia come gli pare

Siamo arrivati a Pasqua e ricomincia la tiritera: “non mangiate l’agnellino, povero agnellino, giù le mani dall’abbacchio scottadito, bombardiamo l’Ucraina, ma non tocchiamo l’agnellino” e così via.
L’uzzolo di scrivere questo articolo mi è venuto vedendo l’ennesimo (e periodico) talk show sull’opportunità di mangiarsi un pezzo d’agnello a Pasqua e vivere nel generale disdoro vegano oppure farne a meno e vivere felici con un sorriso beota stampato sulla faccia e felicemente satolli. Insomma mangiare il capretto o agnellino o cucciolo di pecora che dir si voglia è un peccato? La religione lo condanna? Può considerarsi un atto efferato? Voglio raccontarvi al proposito un aneddoto. Tanti anni orsono il mio ufficio era posto in una villa nella periferia estrema romana. Roma è una città tentacolare e per periferia estrema s’intende che, uscendo dalla porta di casa, ti trovi in aperta campagna.
L’attività lavorativa aveva luogo nell’enorme garage dell’abitazione di uno dei miei soci. Ordunque il mio amico dal punto di vista informatico era un genio, dal punto di vista umano era poco al di sopra di un aborigeno.
Capitò che nella terreno incolto antistante la sua abitazione scovasse un agnellino abbandonato. Il posto era il pascolo abituale delle greggi condotte lì dai pastori della zona che, lungi dal transumare il manipolo d’ovini chissà dove, trovavano comodo aprire la porta di casa e con un piede dentro e uno fuori li lasciavano brucare in libertà. Il mio amico lo prese, lo portò al riparo in una sorta di ricovero per animali che aveva costruito vicino alla sua villetta e lo nutrì dandogli il latte e tutto quello che un agnellino necessitava. Recandoci in ufficio, quotidianamente, andavamo a trovare il grazioso animaletto che, vedendoci, belava in segno di saluto (credo), con una vocina sottile sottile.
LA SCOMPARSA DELL’AGNELLO (e di altri animali)
Passato un po’ di tempo non trovai più l’esserino e ne chiesi il motivo al mio amico che rispose con una sola parola: ”mangiato”. Il mio socio, aveva anche un maiale, ormai domestico, che riconosceva tutti e si comportava come un cagnolone, d’altronde i suini sono noti per la loro intelligenza… . Anche quello scomparve. Alla domanda su quale fine avesse fatto l’animale, la risposta laconica fu anche questa volta: “mangiato”. Giorni dopo notai l’assenza di Argo, il suo pastore tedesco che, ogni mattina, mi faceva le feste. Quella volta non ebbi il coraggio di chiedere quale fosse stata la sua sorte!

Perché questo preambolo? Coloro che mangiano l’agnellino a Pasqua, ma anche in altri periodi, non stanno lì a rimuginare sulla bellezza, tenerezza e docilità dell’animale, ma lo vedono solo come cibo, tutt’al più come un modo di onorare la festa.
“Omnia munda mundis” dice Fra Cristoforo a fra Fazio nel capolavoro del Manzoni intendendo che “tutto è puro per i puri”. Lo stesso Michelangelo, riguardo alle critiche rivolte ai nudi dei suoi affreschi nella Cappella Sistina, sosteneva che “la malizia è negli occhi di chi guarda”. Insomma secondo qualche animalista o vegano, profondamente ortodosso, il mio amico avrebbe commesso un crimine. Per lui, invece, aveva semplicemente assunto del cibo.
Facendo una considerazione un po’ gretta, in fondo quell’agnellino (maschio o femmina non fa differenza), da grande, sempre in pentola sarebbe finito. Non facciamo gli ipocriti perché prima sarebbe stato sfruttato, vegani o meno, animalisti o no, per il suo latte e la lana se femmina, oppure avrebbe corso il rischio di essere castrato se maschio, contribuendo quale ingrediente, alla realizzazione di alcune pietanze. Da questa considerazione ne discende che, forse, essere cucinato da agnellino, per quanto terribile sorte essa sia, risparmia alla bestia una sofferenza futura.
IL PADRE ETERNO E GLI ANIMALI
Nella Bibbia è detto che agli albori della creazione, tutti (animali compresi) si cibavano della sola flora. Quando il Signore benedisse Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden, disse loro: “Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie della Terra, o ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento.” (Genesi 1:29-30).

Poi la Terra finì per essere ricoperta d’acqua e Noè dovette costruire un barcone per salvare, secondo i dettami del Sempiterno, sé stesso, la sua famiglia e una coppia di tutti gli animali esistenti, allo scopo di ripopolare il pianeta dopo quella ineffabile doccia. Questo conferma il fatto che, in quel tempo, tutti gli animali dovevano essere giocoforza vegetariani altrimenti l’uno avrebbe fatto colazone con l’altro.
Qualche tempo dopo, a bordo dell’Arca, al Patriarca prese voglia di mettere sotto i denti qualcosa di diverso, di variare quella dieta a base di minestrone. Credo che l’Eterno percepì questa esigenza per cui non appena le acque si ritirarono (Genesi 9:1-3 )– “Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la Terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò che si muove e ha vita vi servirà di cibo; io vi do tutto questo, come l’erba verde; ”. Insomma era come augurare loro “Buon appetito”.
A NUTRIRSI DI CARNE SI PECCA? (no ma ci si ammala di gotta)

Una domanda sorge spontanea: “Mangiare la carne è peccato?”. Stando ai vegetariani è sbagliato uccidere animali per mangiarli. Sarebbe una ottima considerazione etica e morale se gli umani non fossero onnivori con licenza divina. Anche l’atto di sopprimere un essere vivente parrebbe una inutile crudeltà e quindi un peccato. A questo proposito ci viene in soccorso la Bibbia che fa riferimento proprio all’agnello nel libro dell’Esodo (12, vv. 8 – 10): “In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco”.
La crudeltà dell’atto di cui sopra è azzerata da molte religioni a patto di macellare il bestiame in un determinato modo e con un certo rituale e soprattutto con rispetto. –Buon giorno signora pecora, le faccio rispettosamente notare che tra poco la sgozzerò. Scusi l’inconveniente -.
CHE BESTIE MANGIANO GLI EBREI?
Sono considerati puri, in linea di massima, bovini, ovini e cervidi, mentre non lo sono gli equini, i suini, le scimmie, tutti i rettili e insetti anche se con zampe. Nel 2008, una sentenza rabbinica ha determinato che le giraffe e il loro latte sono ammissibili e devono essere considerati kasher. Non so da dove sia scaturita questa sentenza e perchè un ebreo dovrebbe mangiarsi una giraffa ma tant’è, per cui se a un figlio di Israele scappa la voglia d’un pezzo dell’alto ruminante arrostito o in salmì ne ha licenza.

Secondo la legge ebraica, quindi, mangiare il nostro agnello è possibile a patto che sia “abbattuto” secondo la Shecḥitah, che è la macellazione kasher e in conformità con le norme della kasherut. Ci vuole uno shochet cioè un macellaio che operi sulle bestie usando l’ḥalef che è un coltello affilatissimo. Seguono un fottio di regole da impazzire e una tecnica particolare per sgozzare la bestiola col coltello senza farla soffrire. Mangiar carne per il Popolo Eletto non sembra poi così facile… .
I MUSULMANI MANGIANO CARNE?
Anche i musulmani possono mangiare l’agnello che è un cibo halal a condizione che sia stato macellato secondo le regole stabilite dal Corano e dalla Sunnah.

Sono permessi bovini, ovini, pollame, capre e altri animali simili. Il sangue in generale e la carne di maiale sono considerati Haram cioè proibiti. Per essere halal l’animale deve essere macellato secondo il rito della Dhabiha da un musulmano che invoca il nome del Signore prima della macellazione (“Bismillah, Allahu Akbar”). Il taglio deve recidere la gola, l’esofago e le arterie principali per permettere il deflusso del sangue. Si può stordire l’animale prima della macellazione purché questi non muoia prima di essere sgozzato. Sicome anche le bevande alcoliche sono vietate, se ne deduce che un musulmano che mangi un pezzo di sanguinaccio bevendo una birra sia, religiosamente parlando, quanto di peggio possa trovarsi.
E I CRISTIANI?

Per i cristiani e in particolare i cattolici le cose stanno diversamente: sono molto democratici sugli animali edibili. La regola fondamentale per consumare un cibo animale è che sia buono e ben cucinato. Non ci sono carni vietate: un cattolico, ad esempio, mangia carne di bovino, ovino, suino, equino, pollame, cammelli, orsi, scimmie, salsicce, insaccati vari e chi più ne ha più ne metta. Date qualcosa da mettere sotto i denti a un cattolico e vi mangerà pure la mano se non la ritirate in tempo! Pure per il sangue non ci sono problemi, diamine c’è il sanguinaccio!
GESÙ E IL DESINARE
Gesù non è che fosse proprio un asceta in quanto al cibo, tant’è che Matteo (Matteo 11:19) battibecca con Giovanni Battista dicendo: “È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e dicono: ‘Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori’“. Attenzione, però, Il passo evangelico va semplicemente visto come l’indicazione che il Nazareno partecipava pienamente alle usanze alimentari della Sua società senza tante storie.
COSA MANGIAVA IL CRISTO?

All’epoca oltre al pesce, ricordiamo che diversi suoi apostoli erano pescatori e che mangiavano anche animali di terra. Ecco che salta nuovamente fuori l’agnello considerata una delle carni più popolari all’epoca del Divin Maestro per cui il Redentore ne avrà mangiata a iosa.
Nel procedere dell’articolo, cerchiamo di capire quale fosse la dieta di Gesù che, probabilmente, era simile a quella delle classi povere della società ebraica di cui il figlio del Signore faceva parte assieme ai suoi seguaci.
CHE PASSAVA IL CONVENTO?
Per iniziare togliamoci dalla testa che il Redentore fosse vegano come alcuni sostengono. Dai testi sacri è possibile affermare che Cristo apprezzasse la carne, sebbene alimento tipico di classi sociali più elevate. Mangiava anche il pane che non mancava mai. Nel libro “The Food and Feasts of Jesus: Inside the World of First Century Fare”, gli autori affermano ci fosse questo cibo alla base dell’alimentazione di tutte le classi sociali.
Era un elemento indispensabile per sostenersi e in mancanza di posate (non esistevano), pane, focacce o altri lievitati erano utilizzati per raccogliere il cibo, facendo la classica scarpetta!
Come si è visto, capre e pecore non mancavano, ma anche l’agnello, per lo più (sembra) stufato o santamente arrostito e con delle verdure come la cicoria, già diffusa nel bacino mediterraneo. Nella Sua mensa erano presenti anche i legumi come ceci, fave e lenticchie mentre fichi e melograni pare fossero i frutti più utilizzati.

Circondatosi per lo più da pescatori, non esulava il pesce dalla sua dieta. Nelle zone del Medio Oriente, dove Gesù visse e predicò, la varietà più pescata e mangiata erano le sardine.
Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini autori del libro “Il Gesù dei Miracoli” ci dicono in piena blasfemia alimentare che il Maestro avesse una predilezione per la focaccia d’orzo anche se non se ne fa menzione nei testi sacri. Al che qualcuno si chiederà: “Gliene bastava una e poi la moltiplicava?” oppure “era impastata con l’acqua santa?” e i più esperti in cucina si domanderanno se la cuoceva a Bagno Maria. Questi paiono essere i nuovi Misteri della fede.
E IL CONIGLIO?
Ho fatto tutta questa disquisizione sull’agnellino ma ho dimenticato il simpatico coniglietto.

Pure su questo animale, a Pasqua, se ne parla eccome… e anche per lui vale il discorso secondo il quale se per alcuni è un delitto cibarsi di una bestia, per altri è solo normale cibo, in questo caso particolarmente gradito per la Pasqua, ma comunemente mangiato nel corso dell’anno.

Nel quartiere dove abito esisteva una colonia di coniglietti. Ce ne erano di tutti i tipi, compresi quelli tanto carini denominati “ariete”. Poi iniziò ad installarsi una comunità di extracomunitari appartenenti a tutte le etnie e curiosamente, la colonia, seppur fertile, diminuì significativamente di presenze.
Per gli abitanti del quartiere quei graziosi animaletti erano degli esserini belli da vedere, per altri, invece, poveri e affamati, del buon cibo. Oddio per sfamarsi i poveri potrebbero andare per prati e giardinetti a brucare erba ma la necessità è una gran brutta consigliera… .
E SE NON MANGIASSIMO GLI AGNELLI?
Stando a “Il Gambero Rosso”, che ha fatto una inchiesta in merito rivolgendosi agli allevatori, semplicemente scomparirebbe la specie. Passo la parola all’articolo: “ I maschi – viene spiegato – non sono produttivi e creano problemi nella gestione del gregge. Se la nostra attività smette di essere sostenibile economicamente, va a finire che scompare la figura del pastore. E voi lo sapete che la pecora, essendo stata tra i primi animali ad essere addomesticati, non è più in grado di vivere in maniera autonoma?” dichiara l’allevatore abruzzese Nunzio Marcelli.
La scomparsa della specie, e quindi della pastorizia, oltre alle ovvie conseguenze per i nostri palati, produrrebbe effetti anche sull’ambiente: La pratica della pastorizia ha creato un ambiente specifico, fatto di tante altre specie. Le deiezioni, per esempio, attraggono alcuni insetti, e le pecore stesse attraggono rapaci, orsi o lupi. Insomma se dovessero scomparire le pecore, sarebbe un disastro anche a livello ambientale. La loro presenza, dunque, stabilizza l’ambiente naturale circostante.“.
IN CONCLUSIONE
“Agnus Dei, qui tollis peccata mundi” è una frase latina che significa “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo”. Fa parte della liturgia cristiana. Rappresenta la figura di Gesù Cristo come il sacrificio che porta la salvezza all’umanità.

Mangiare l’agnello a Pasqua (di resurrezione) rappresenta un po’ ripetere la comunione con Cristo e nello stesso tempo averlo in casa durante la festività. Esagerato? Non credo. Ricordo che durante la Santa Messa mangiamo il corpo di Cristo ogni domenica all’atto di assumere l’Ostia Consacrata e il celebrante poi tracanna un goccio del suo sangue sottoforma di vino. Nella fattispecie si tratta della Transustanziazione: la sostanza del pane e del vino si converte in quella del corpo e del sangue di Cristo, mentre in apparenza (il pane e il vino) rimangono invariate.
Naturalmento sto celiando. Sul desco pasquale non avviene nessuna Transustanziazione, però, l’agnello o il coniglio, oltre a scaldare lo stomaco, scaldano l’anima, anzi fanno rivolgere il pensiero all’Altissimo.
CHE DOBBIAMO FARE?
La domanda è: “non dobbiamo mangiare abbacchio e conigli durante la Pasqua e poi è lecito durante il resto dell’anno?“. La verità è che esisterà sempre chi si erge a censore dei costumi in nome di una morale. Nemmeno i Quaccheri, i Testimoni di Geova o altri gruppi religiosi si sognano di dare battaglia a chi rosica un agnello, anzi sono spesso riconosciuti per il loro impegno nel rispetto delle convinzioni individuali e della libertà anche religiosa. Possiamo mai considerare disdicevole mangiare un abbacchio in santa pace? Può darsi. Magari si potrebbe, con una bella raccolta di firme, indire un referendum che vieti l’uso di certe pietanze ma… non credo sia possibile in Italia altrimenti gli alcolici sarebbero già stati posti all’indice. Lo so sono un ingenuo, però, per favore, a Pasqua lasciateci in pace. Sopportiamo tanto durante l’anno per cui “lassatece sciorti!“
A Roma il momento più bello non si ha il giorno di Pasqua ma il lunedì, a Pasquetta quando si va tutti a fare una gita “fori porta”
Tanti auguri di una Felice Pasqua
LEO Vito