Ospedale virtuale, medici Covid e i miracoli inascoltati del Comitato Cure Domiciliari Covid-19 e del Prof. Luigi Cavanna

Stiamo vivendo un periodo gramo in cui in Italia al Covid 19 si assomma un enorme deficit tanto per cambiare . In tutto questo bailamme, chiaramente è d’obbligo risparmiare e come sempre l’unico mezzo ritenuto idoneo per la riduzione della spesa pubblica è la strada della riduzione dei servizi. Nel campo sanitario, in questi ultimi 10 anni il numero di ospedali è passato da 1.200 a 1.000 più o meno. Anche i posti letto sono diminuiti, da circa duecentoventicinque mila a centonovantuno mila. In base al piano sanitario nazionale tra gli obiettivi strategici è prevista “la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli ospedali per acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente”.

Forlanini prima della cura
Forlanini dopo la cura

In risposta a queste attenzioni, miracolo italiano, le strutture sono diminuite ma i costi aumentati. Tra le altre cose sono stati eliminati ospedali che assistevano piccoli centri e che, mal gestiti, non rappresentavano un efficace mezzo di cura. Anche in questo caso anziché valutare la gestione dell’impianto e apportare le dovute correzioni rendendolo maggiormente efficace, magari sostituendo la dirigenza, si è privilegiata la strada di disagiare gli assistiti, costretti a veri viaggi della salute verso i grandi centri. Ma non solo questo. Prendiamo Roma, la capitale. Nel 2015 è stato chiuso un ospedale d’eccellenza nel campo delle patologie respiratorie, il Forlanini, una delle più belle strutture italiane, abbandonandolo fisicamente alle ortiche mentre nel 2019 è toccato al San Giacomo. Per coloro che non lo conoscono il San Giacomo era situato nel centro storico dell’Urbe, a due passi da Piazza del Popolo, in un antico edificio ristrutturato completamente poco tempo prima di mandarlo in disuso. Assistiva oltre trentatremila abitanti e assicurava col suo pronto soccorso cure immediate a tutti i turisti stagionali. La politica della chiusura, se da una parte procura un facile rientro economico, dall’altra sembra rappresentare una violazione dell’art. 32 della Costituzione Italiana. Cosa stabilirono i padri costituenti? “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” Mi chiedo se nei limiti imposti dal “rispetto della persona umana” siano contemplati i viaggi stressanti e le file chilometriche alle quali sono sottoposti i bisognosi di cure a causa della chiusura dei tanti ospedali. I posti letto, purtoppo, costano e costano cari, tra i 750€ agli oltre 850€ giornalieri con piccole variazioni da regione a regione senza contare le terapie intensive. Come contenere i costi? Un sistema ci sarebbe: ricoverare nelle loro case i pazienti che non richiedono particolari cure come i de-ospedalizzati ai quali bisogna somministrare flebo o gestire le medicazioni, i pazienti con pluripatologie cronico degenerative in fase di riacutizzazione, pazienti oncologici con complicazioni, pazienti in alimentazione artificiale.

Mercy virtual in una simulazione

Quello che ho definito come ricovero al proprio domicilio è una sorta di assistenza che ha preso il nome di Ospedale virtuale. Cosa diavolo è? Nel midwest degli USA è stato realizzato, dal 2015, il Mercy Virtual, una sorta di struttura ospedaliera operativa che serve circa 2400 pazienti, dislocati nelle loro case. Il principio del Mercy Virtual è aumentare l’efficienza nell’erogazione delle cure sanitarie limitando , però, le degenze negli ospedali e quindi, supportando l’assistenza domiciliare con vari servizi tra cui quello di telemedicina. Il Mercy si trova nella cittadina di Chesterfield, in Missouri, e il suo territorio di riferimento comprende l’Arkansas, il Kansas, l’Oklahoma e la Carolina del Sud. Tutto qusto comprensorio è una estensione caratterizzata da sterminate distese agricole con distanze notevoli tra piccoli centri e cittadine di provincia. Riportando questo sistema alla geografia italiana, quante comunità montane, piccoli centri rurali, borghi e paesi potrebbero essere assistiti compiutamente senza costi da capogiro?

Gli obbiettivi da raggiungere sono molteplici e tutti di grande importanza: primo tra tutti quello della qualità percepita da pazienti e famiglie, anche perché, diciamocelo, come si è in casa non lo si è da nessuna parte mentre i parenti più stretti non sarebbero esposti all’angoscioso va e vieni dall’ospedale. Un secondo obbiettivo è la riduzione dei costi di ricovero a fronte di una efficace assistenza e infine la possibilità di gestire un grande numero di pazienti dislocati sul territorio. Volete sapere come funziona un sistema simile? Quando la struttura ospedaliera decide di ricoverare il paziente a casa, a ciascun assistito è assegnato un numero di letto virtuale coincidente col proprio domicilio. Per ciascun posto letto è creata una cartella clinica informatizzata accessibile dal solo personale sanitario in visita domiciliare o dalla struttura nosocomiale. Come è immaginabile, il tutto è supportato da una rete telematica protetta che mette a disposizione del paziente anche una sorta di call center altamente qualificato al quale collegarsi e che non risponde dall’Albania, dalla Romania o dall’Alaska. L’operatore colloquia in audio e video, ove possibile e può fornire i servizi del caso o allertare il personale sanitario. Chi si occupa della gestione dei posti letto? Come accaduto a Roma, da cooperative di medici e infermieri compresi quelli “di base” oppure da Onlus, comuni o regioni. Strutture del genere non solo comportano un grande risparmio al Sistema Sanitario Nazionale, ma forniscono un ausilio alla riduzione del fenomeno della disoccupazione. Quanti giovani infermieri con laurea triennale potranno rendersi utili alla comunità e remunerati? Quanti neo laureati in medicina potranno trovare occupazione? Non ho fatto cenno alla telemedicina che in questo ambito trova il suo naturale alveo. Oggi sono disponibili attrezzature facilmente trasportabili e a basso costo che possono coadiuvare attivamente il monitoraggio del paziente domiciliare. Credete che stia vaneggiando? Ebbene la cosa funziona e funziona bene se applicata con i dovuti criteri. Urta le sensibilità di alcune alte gerarchie della classe medica? Probabilmente si, può creare problemi al sistema clientelare? Ditemelo voi.

Voglio prendere spunto da una frase del prof. Alberto Zangrillo primario di anestesia e rianimazione dell’Irccs San Raffaele di Milano La terapia più efficace contro il coronavirus Sars-CoV-2? Si chiama medico di medicina generale” (Il medico di famiglia n.d.r.). D’altro canto chi più di Zangrillo può rendersene conto? Negli ospedali la figura del medico generalista non è presente, vi sopperiscono proprio gli anestesisti! A dare ragione al suo asserto sono i tanti “protocolli” terapeutici messi a punto nel corso di questo lungo incubo proprio da questi medici riuniti nel “Comitato per le Cure Domiciliari Covid-19“. È un gruppo formato da più di ottantamila membri. Il suo creatore l’avvocato del foro di Napoli, Erich Grimaldi, fondatore e presidente del “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid”. Piaccia o meno, migliaia di pazienti sono stati curati con farmaci che abbiamo sempre avuto a disposizione e in libera vendita. Racconta Erich Grimaldi: “… siamo riusciti a capire che molti medici inizialmente non utilizzavano solo la tachipirina ma anche l’idrossiclorochina e l’azitromicina e successivamente, in caso di tromboembolia, l’eparina” . Una cosa non nota è che grazie a costoro, si sono salvate migliaia di vite e ridotti a percentuali minime i ricoveri ospedalieri. Volendo dare qualche numero, le relazioni di soli dieci dottori del gruppo tra Lombardia, Campania, Emilia Romagna, Sicilia e Piemonte, riportano che su 906 pazienti Covid curati a domicilio con il loro protocollo, si sono verificati due soli decessi e due ricoveri.

Considerata l’esperienza acquisita sul campo da questi medici pensate che le Regioni e i Governi che si sono succeduti li abbiano ascoltati, si siano confrontati con loro attorno a un tavolo tecnico? Ma anche no: dovevano ascoltare una OMS tutta tesa, pare, a proteggere la Cina e ad accettare le terapie che uno squinternato gruppo europeo guidato dalla Ursula von der Leyen proponeva (tra l’altro sbagliando e fornendo vaccini che alla lunga si sono dimostrati non proprio affidabili al cento per cento). Pensate che sia mai stato convocato il Prof. Luigi Cavanna, medico piacentino al quale il Time ha dedicato una copertina elogiandone lo straordinario lavoro? Nessuno gli ha chiesto cosa avesse mai utilizzato per salvare ultranovantenni, cardiopatici e diabetici dal Covid e che godono, oggi, di ottima salute. L’associazione di antibiotici, antiinfiammatori, eparina e idrossiclorochina, somministrati assieme ad integratori, secondo particolari protocolli, nei primi giorni del contagio ha permesso di aiutare molti malati di Covid. Lo stesso Consiglio di Stato riconoscendo il principio della libertà prescrittiva del medico ha consentito la somministrazone di un farmaco, l’idrossiclorochina, l’antimalarico sul cui uso la comunità scientifica non ha mai raggiunto una reale condivisione di idee.

Ad oggi, lo schema terapeutico del Comitato Cura Domiciliare Covid-19 è stato condiviso anche negli Stati Uniti da Harvey Risch, direttore del dipartimento di epidemiologia dell’Università di Yale e richiesto da Grecia, Honduras, Malta, Brasile e Perù. L’Italia invece si oppone trincerandosi dietro la giustificazione per cui “non esistono studi ufficiali”. Un po’ come fa certa medicina difensiva che prescrive solo secondo protocollo. Ricordate la storia del dottor Jenner, il creatore del vaccino contro il vaiolo? La Royal Society rifiutò i suoi studi e le sue sperimentazioni poiché troppo rivoluzionari. Oggi, in Italia, ci risiamo. È la stessa storia dei farmaci monoclonali, da mesi prodotti in un laboratorio di Latina, esportati all’estero ed accettati da poco nel nostro paese. Gli ospedali virtuali, assieme a questi protocolli ignorati, quante persone avrebbero sollevate dal dolore se non dalla disperazione? Quante persone che vedevano i parenti fagocitati dagli ospedali senza la speranza di star loro vicini avrebbero avuto l’animo angosciato finalmente placato? Tanto per tranquillizzare tutti ritengo che la vaccinazione debba essere fatta, ma bisogna anche ascoltare tutti quei medici che, operando secondo “scienza e coscienza”, propongono strade nuove suffragate da prove. Un saluto da un metro e mezzo.

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