Papi e romani: una coesistenza felice? Altari, campane, “fortezza” e patiboli: storia di rapporto che resta comunque inscindibile e misterioso

Roma ha da sempre avuto un rapporto speciale con i papi. Forse perchè li ha in perpetuo ospitati tra le sue mura (Laterano e Quirinale sono state residenze papali).
Magari il motivo risiede nel fatto che oltre cento papi erano “romani de Roma” (l’ultimo Pio XII), oppure dal fatto che l’odore d’incenso e di cera delle candele votive si fonde nell’aria capitolina.
Certo è che il romano “doc” avvertiva, allora come oggi, “a pelle”, quale ecclesiastico barometro, i mutamenti e i cambi d’umore della Cattedra di Pietro: secoli di clero gravano sulle sue spalle… !
ROMANI E PAPI: QUASI UNA SIMBIOSI?

Per rispondere a questa domanda (che potrebbe anche essere una affermazione N.d.A. ) bisogna considerare il contesto in cui il popolo dell’Urbe ha sempre vissuto.
La presenza delle innumerevoli chiese concorreva alla sensibilizzazione del quirite nei confronti del Santo Padre.
Se volessimo contare tutti i luoghi di culto cattolici, compresi quelli distrutti, trasformati, accorpati o sconsacrati si giungerebbe alla ragguardevole cifra di circa 1500 edifici religiosi.
Dai loro portali erano rigurgitati nelle strade migliaia di individui, paludati di nero, sempre affaccendati, con in testa uno zucchetto, sulle spalle la mozzetta e con le tonache svolazzanti al vento. Facevano da contorno a costoro chierichetti vocianti e gli allampanati e spesso solinghi campanari e sacristi.

Poi le suore… . Non le vedevi (allora come oggi) mai sole, si accompagnavano tra loro. Erano le giapponesi del clero ma senza macchina fotografica. Spesso indossavano (lo fanno anche oggi) copricapi “originali” che andavano dal classico soggolo a quello enorme delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, per questo soprannominate a Roma “cappellone”, fino ad arrivare a quello delle Brigidine: casco da ciclista.
Una annotazione: la tradizione capitolina vedeva di buon occhio, fino a qualche decennio addietro, i propri marmocchi servir messa, paludati da pretini. Per questo i romani hanno quasi tutti l’animo del chierichetto: son cresciuti all’ombra delle sacrestie.
L’ORDINE PUBBLICO A ROMA
Roma era in pratica capitale e vittima dello Stato pontificio, il cui sovrano era il Papa che come tale si comportava. Per lui faceva le veci della polizia il bargello, e i carabinieri pontifici comandati, negli ultimi anni di regno, dal colonnello Filippo Nardoni ex galeotto, le cui ronde battevano il selciato romano, provvedendo a portare “in fortezza”, cioè tra le mura di Castel Sant’Angelo, il malfattore di turno.
LEONE XII DELLA GENGA

Nemmeno all’osteria si stava tranquilli perché Leone XII Della Genga impose all’oste, allo scopo di ridurre l’abuso del vino ingurgitato dal popolo, che l’alcolica spremuta d’uva fosse versata fuori dalla bettola, facendo passare il boccale sopra un cancelletto che chiudeva l’ingresso agli avventori.
Naturalmente la gente comune se ne ebbe a male (mai togliere il vino a un romano!) così Pasquino si fece sentire:
“Questo papa sempre a letto
dentro Roma allarga il Ghetto,
alle scienze l’interdetto,
anche al vino il cancelletto,
questa legge è di Maometto.
Oh, governo maledetto!“
In realtà Leone XII non è che piacesse molto ai romani. Alla sua morte, tanto era detestato, che Pasquino, se ne uscì con una delle sue:
“Già l’anima di Leon dal corpo uscita,
volava a ricercar più bella vita.
Andata al cielo, domandò l’ingresso,
ma tanto onore non le fu concesso,
perché Pietro aveva messo a suo dispetto
alla porta del cielo un cancelletto“
Tra l’altro il Pontefice se da un lato limitava i vizi al popolo, dall’altra se ne concedeva e come… :
“Passando della Genga, un forestiero
domandò: “Questi è il Santo Padre, è vero?”.
Ma il Capitano de’ Svizzeri che udì,
rispose: “Santo no, ma Padre sì.” “
Pare che Leone XII avesse avuto, infatti, un filarino con la moglie del capitano delle guardie svizzere rendendo l’ufficiale padre suo malgrado (“Uso obbedir tacendo”).
L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

La funzione, un po’ vaga e articolata, era gestita da diverse figure. Esisteva un Governatore che amministrava la giustizia penale su tutta la città e ai cui ordini c’era “un bargello e trecento birri”. Il Cardinal Vicario, invece, sentenziava su preti, ebrei e meretrici. Si occupava delle controversie tra laici e sacerdoti e puniva i bestemmiatori, gli spergiuri, gli stupratori, gli adulteri, i concubini e i poligami.
Dei reati inerenti cortigiani, mercanti e stranieri di passaggio a Roma era giudice l’Uditore di camera. Infine il Tesoriere Generale gestiva i reati riguardanti il fisco e le contravvenzioni alla polizia edile.
Ma non finisce qui perché la giustizia aveva maglie fitte. Esistevano i tribunali del Prefetto dell’Annona e del Camerlengo di Ripagrande. Quest’ultimo, si pronunciava sulle controversie riguardanti le merci che approdavano dal Tevere.
Con tutto questo ambaradam pensate che la giustizia fosse amministrata al meglio? Ma anche no, l’ingiustizia era di casa. Il Belli, poeta romanesco, suggerì, nel sonetto “La Ggiustizzia”, di sostituire la benda sugli occhi della dea con un paio di occhiali!.
LE CAMPANE DI ROMA
La sensibilità del romano alle cose clericali era anche dovuta al fatto che tutta la sua vita era scandita dal rintocco dei sacri bronzi.
In passato, l’Urbe era meno rumorosa e le campane, anche le più distanti, si udivano bene.
Diventarono il mezzo più rapido e diffuso per comunicare eventi allegri o meno: elezioni e morti di papi, chiamata alle armi per difendere la Santa Sede, pestilenze. Persino l’ora di recarsi a lavoro o di andare a scuola era occasione di un tocco di campana. Ognuna aveva una voce diversa e la gente non solo le riconosceva ma riconosceva anche la mano del campanaro.
La cosa era così intimamente intessuta nella vita popolare che alle campane più importanti era stato affibbiato un nome.
Quella di San Pietro considerata a Roma “la” campana per eccellenza si chiamava semplicemente “Campanone” o “Valadier”. Godeva (e gode) della compagnia di altre sei campane: il “Campanoncino”, la “Campana della Rota” (annunciava le riunioni della Sacra Rota), la “Campana della Predica” e la “Campana dell’Ave Maria”, l’ultima e più piccola la”Campanella”. Una nota: il “Campanone” ancora oggi suona per ogni “morte de Papa” mentre assieme alle altre per l’elezione di quello nuovo.
Altra campana è la “Giovannona”, campana maggiore del campanile di San Paolo fuori le mura, da qualcuno soprannominata “Pierpaola”, in onore dei santi Pietro e Paolo.
PRETI, PRETI, SEMPRE PRETI
Mettiamoci nei panni di un viandante a zonzo per la Città Eterna. In piazza del Popolo, oltre al patibolo troverebbe tre chiese e ancora altre tre a un centinaio di metri giù per via del Corso.

In tutti gli angoli delle strade romane scoprirebbe delle curiose targhe; sono quelle dei “Mondezzari”. Erano apposte dove il popolo faceva “mondezzaro”, cioè buttava l’immodizia, perché di raccolta rifiuti ancora non se ne parlava. Realizzate in marmo riportavano scolpito il testo del divieto. Questi cartelli erano a firma del “Presidente delle Strade” che era sempre un Monsignore. Il viandante continua la sua passeggiata percorrendo vie realizzate con i proventi del meretricio.
Nella Roma Papalina, alla faccia dell’etica, della morale e della pia virtù, le prostitute erano tassate. Il cardinal Vicario rilasciava le licenze e riscuoteva le tasse sui bordelli. Con i proventi dell’amor profano Pio IV costruì borgo Pio, mentre Leone X ristrutturò via di Ripetta.
L’ONNIPRESENZA RELIGIOSA
Tutto ricorda i preti nell’Urbe, finanche gli ospedali: San Camillo, San Giovanni, Santo Spirito, Sant’Eugenio, Istituto Dermopatico Dell’Immacolata, Fondazione Santa Lucia, San Filippo Neri, Ospedale Cristo Re, Ospedale S. Giovanni Battista S.M.O.M., San Carlo di Nancy, Sant’Andrea, Ospedale San Pietro Fatebenefratelli e vi faccio grazia degli altri. Dovete ricoverare qualcuno in un ospizio? C’è Santa Galla! A Roma, quando qualcuno sembra rimbambito, si dice: “Mannàlo a Santa Galla”, mentre per i disabili c’è il Don Gnocchi. Oddio ce ne sarebbe uno con un nome che appare laico: il Gemelli, dove attualmente è ospitato il Santo Padre, però Agostino Gemelli è stato un francescano e anche medico e psicologo.
Dopo questa “full immersion” ecclesiastica il povero viandante, rintronato dalle campane che suonano in ogniddove per ogni cosa, torna a casa traballante dall’impatto religioso e sapete una cosa? Tutto ha visitato, ammirato e goduto tranne il centro della cristianità: il Vaticano. È uno stato che incombe sulla Capitale, noto e allo stesso tempo ignoto, che pare dire alla città: “Bada a quello che fai: il Signore ti vede e noi pure…!”.
ROMA E I PAPI
Ne ha visti e conosciuti di papi il popolo dell’Urbe… . Talmente tanti che ormai nemmeno crede più alle notizie ufficiali pechè sa come vanno le cose nella Città Leonina!
Un esempio? Quando morì papa Giovanni Paolo I Luciani, la gente non chiese: ”Che gli è successo?” ma: “Chi è stato?” perché loro già supponevano… e ancora attendono di conoscere la verità. Altro esempio? L’insonnia, causa ufficiale delle dimissioni di Ratzinger. Quando il motivo del “gran rifiuto” di Benedetto XVI si diffuse per il mondo, il romano non si scompose e commentò, dall’alto della sua flemma: “Si, lallèro…”, che è come dire: ”Raccontane un’ altra”.
L’ACQUA

L’acqua Paola, da papa Paolo V, che afferiva alla fine del suo corso nel famoso “fontanone” del Gianicolo e infine l’acqua Vergine la cui riattazione fu voluta da Niccolò V.
L’acquedotto alimenta la fontana di Trevi, la fontana in piazza del Pantheon, quella dei “Quattro Fiumi” a piazza Navona e la “Barcaccia” in piazza di Spagna.
Anche l’acqua ricordava ai romani la presenza dei papi e così i tre acquedotti più importanti che portavano il prezioso liquido nella capitale avevano nomi ecclesiastici: Acqua Felice, da papa Sisto V al secolo Felice Peretti, che aveva la sua fontana, nota come la fontana del Mosè, brutta e ridicolizzata all’epoca dal popolino talchè lo scultore si suicidò
Le fontane, in particolare, poste alla fine degli acquedotti, denominate “mostre” erano sormontate da targhe marmoree recanti i nomi dei Sommi Pontefici, a perenne ricordo del fatto che, se il popolo aveva l’acqua, lo doveva alla papale munificenza.
ALLA FINE
Il popolo vive e respira l’aria clericale anche grazie alle 332 parrocchie sparse sul territorio della Città Eterna. Piaccia o meno, ogni domenica, nell’aria si diffonde più e più volte lo scampanìo delle celebrazioni eucaristiche.
Ogni fontana, ogni ponte, ogni clinica od ospedale reca il nome di un papa, di un santo o di un prete. Come fa un romano a non essere intriso di Acqua Santa e incenso abituato ab antiquo ad obbedire alle leggi pontificie, a riverire i preti e rassegnarsi a una costante, religiosa, presenza ?
Vi saluto ecumenicamente e vi ricordo che all’insediamento di un nuovo Papa sia a Pasqua che a Natale il Pontefice impartisce la benedizone “Urbi et Orbi” Cioè a Roma e al mondo e scusate se è poco… .
LEO Vito