Pasqua, Passaggio, Pésach, Cambiamento, Rinascita. Chiamatela come volete ma quest’anno approfittiamo per meglio i suoi simboli

Qual è il simbolo della Pasqua? Ma le uova e l’agnello, naturalmente. Dietro questa storia di regalarsi uova, però, c’è una lunga tradizione. Ne vogliamo parlare? Parliamone dai. L’uovo era considerato anticamente come la rappresentazione dell’unione della terra con il cielo. Nella cosmologia egizia, persiana, ma anche cinese, l’uovo “cosmico”, secondo il mito comune a queste civiltà, rappresentava l’origine del mondo uscito dal Caos primordiale. Insomma prima c’era un disordine generale, poi “puff!” l’Universo come lo conosciamo. Nelle tradizioni pagane e mitologiche era il simbolo della rinascita. Gli antichi romani, in primavera sotterravano, nei campi coltivati, un uovo dipinto di rosso per propiziarne la fertilità. Insomma, donare e ricevere un uovo di cioccolato a Pasqua, non è un semplice gesto d’affetto ma è un atto che ci pone di fronte al gran mistero della vita. Se viene compiuto con fede cristiana, ad esempio, il dono dell’uovo diventa un augurio di vita eterna. Meditateci su…

Il cattolicesimo, che non ha mai disdegnato riadattare usanze pagane alle proprie bisogna, ha ripreso il concetto di uovo come simbolo di vita e di rinascita collegandolo alla celebrazione della la risurrezione di Gesù. Con un volo pindarico, siccome il nostro elissoide contiene al suo interno, nel tuorlo, una vita, alla fine potrebbe simboleggiare  il sepolcro dal quale è rinato il Redentore.

Dopo queste riflessioni ponderose e ponderate volete sapere quando e dove nacque l’abitudine di scambiarsi in dono delle uova in occasione della Pasqua?

La tradizione nasce in Germania a partire dal Medioevo, d’altronde ai tedesconi è sempre piaciuto fare… sorprese al proprio prossimo. Le uova venivano colorate bollendole insieme a cipolle rosse o ad altra verdura. Erano un dono semplice che i feudatari porgevano alla servitù.

Sempre nel Medioevo iniziò anche la fabbricazione di uova di Pasqua in argento ed oro finemente decorato che i nobili amavano scambiarsi tra loro: a chi un uovo sodo e a chi un uovo d’oro, in fondo era la rappresentazione delle differenze sociali.

Pare che in Inghilterra re Edoardo I Plantageneto  commissionò ai suoi maestri orafi ben 450 uova d’oro da regalare per la Pasqua.

Gli zar, in Russia,  non furono da meno e nell’ottocento iniziarono a regalare uova d’oro cosa che fece la fortuna dell’orafo di San Pietroburgo Peter Carl Fabergé. Nel 1883 a Pasqua, lo zar Alessandro III gli ordinò di preparare un “regalino” speciale per la zarina Maria Fyodorovna. Nacque così il primo uovo “Fabergè” che tanta gioia e trepidazione avrebbe smosso negli animi dei collezionisti. Era realizzato in smalto bianco contenente un tuorlo tutto d’oro nel cui interno si trovava una gallina dorata e decorata di smalti che racchiudeva a sua volta una copia in miniatura della corona imperiale con all’interno un piccolo rubino a forma di uovo. Si attribuisce a questa alzata d’ingegno dell’Orafo la tradizione della sorpresa .

Nella storia dell’uovo di Pasqua, il cioccolato compare, però, nel XX secolo e potevamo non esserci, noi italiani? A Torino, Madama Giambone creava, a mano, nella sua bottega di via Dora Grossa, le prime uova di cioccolato con due stampi metallici semisferici. Nel 1920, Casa Sartorio brevettava una macchina per poter inserire la sorpresa e scusate se è poco. Se vi interessa la tradizione greco-ortodossa, invece, prevede che alle uova di cioccolato vengano affiancate vere uova di gallina cucinate sode e dipinte di rosso, il colore della Passione, il giovedì Santo, e consumate la domenica di Pasqua durante il pranzo.

Bello l’agnellino vero? Coraggio alla mano, affrontiamo la tradizione di consumare l’agnello che tanto dissenso incontra ai nostri tempi.

L’usanza sorge da sacri lombi, non è un vile atto di golosità, infatti risale alla Pesach o Pasqua ebraica, quando ne dovevano essere  immolati uno per famiglia, come aveva ordinato il Signore a Mosè e Aronne: “…ognuno si procuri un agnello per famiglia, e se questa fosse troppo piccola per consumarlo si assocerà al suo vicino (…). In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco, con azzimi ed erbe amare (…). È la Pasqua del Signore! Questo giorno lo celebrerete di generazione in generazione, come un rito perenne…”. e adesso mettiamoci una pezza!  Guardate che per chi non lo sapesse, il Pèsach non è mica una roba da ridere: è la Pasqua ebraica che ricorda la liberazione dall’Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa ed è alla base anche del credo cattolico..

Naturalmente a questa tradizione si sovrappone la Pasqua cristiana: non a caso Gesù morì di venerdì durante le festività del Pèsach, come vero Agnello Sacrificale. Quindi il significato di questa pietanza, diffusissima in tutto il mondo cristiano, simboleggia il Cristo sacrificato sulla Croce per la salvezza dell’umanità.

Mangiando, con la dovuta fede, l’agnello la Domenica di Pasqua, si commemora il sacrificio divino. Insomma, cosa curiosa, gli animalisti che si oppongono alla consumazione dell’agnello nel pranzo pasquale non sostengono solo un atto pietoso ma, quasi,  una sorta di conflitto “culinar-religioso”. Naturalmente ho celiato un po’ su questa faccenda dell’agnello, ma attenzione, la questione non è da prendere proprio sottogamba. Durante il dibattito di Laodicea sulla Pasqua, si disse che il vero sacrificio era stato compiuto con Cristo: quello dell’agnello non aveva ormai più senso. Anche il Papa Emerito Benedetto XVI sostiene che: “Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio”. A conferma della tesi, Monsignor Penna, professore emerito presso la Pontificia Università Lateranense dice in una intervista:  “Il sostenere che Gesù ha mangiato una Pasqua senza agnello si basa sul testo scritto, ma la storia sta sempre al di là della fonte scritta”, e poi: “Non si afferma che non ci fosse l’agnello, semplicemente non se ne tiene conto, perché la narrazione viene fatta già dal punto di vista della prassi cristiana: questa, infatti, prescindeva dal sangue dell’agnello, perché la fede cristiana fonda se stessa sulla fede di Gesù Cristo, non sul consumo di “un” agnello. E Paolo dice appunto che “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”. Queste le tesi e le antitesi sull’annosa questione dell’Agnello pasquale.

Dopo aver parlato di tutto ciò, rimane una domanda: “Cosa ci resta da fare a Pasqua?” Niente! Dobbiamo fare di necessità virtù: ce ne stiamo con la nostra famiglia, non raduniamo gente in casa: non si può è vietato. Insomma rilassiamoci un po’ stiamocene in panciolle senza affaticarci a mettere su la tavola per gli ospiti o a cucinare come se non ci fosse un domani.

Scommetto che il Papa, quando dirà Messa in televisione, sarà inquadrato dal busto in su perché giù indosserà pigiama calzettoni e ciabattone di quelle poco sante ma tanto comode! Me lo immagino, dopo avere celebrato, girarsi e abbrancare, finalmente, una fetta di colomba intingendola in un bel cappuccinone, cosa impossibile nelle pasque precedenti data la gente che l’attorniava: quest’anno presenziano ai riti solo dodici persone da lui scelte.

Sentite a me: fate una bella Pasqua, mettetevi a tavola con la famiglia, una fetta di pizza da una parte, un uovo sodo dall’altra e godetevi la giornata. “Dopotutto domani è un altro giorno”  dice Rossella O’Hara in “Via col Vento”. Amici, tanti auguri per Pasqua, vedrete che il bel tempo sta per arrivare e ripenseremo a tutta questa vicenda solo come una brutta avventura!  

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