Quei Papi dalla fine del ‘900 a oggi. Da Pio XII a Papa Francesco, storia di una missione unica partita con Pietro e arrivata fino a noi

Dopo l’annuncio della scomparsa del Santo Padre Francesco son fioccati, in rete e fuori di essa, commenti di vario genere, non tutti degni di nota, anzi alcuni del tutto censurabili e molti fuori luogo.
L’elemento comune di questi scritti è il ricondurre o voler ricondurre il Santo Padre e la Sede Apostolica ad una lettura politica, per certi versi anche triviale.
Ma, se si va a vedere bene, si sente nelle orecchie l’eco di quel “Tu es Petrus…” il canto della Schola Cantorum che risuona durante la cerimonia di insediamento del Pontefice di Roma, Vescovo di Roma e successore di quell’umile pescatore di Galilea, detto Cefa, Simone e che Gesù Cristo chiamò Pietro.
“Simone mi ami? Pasci le mie pecorelle…” E questo è l’affidavit, il comando, l’investitura che Cristo diede a Simone, rinominato Pietro e “super hanc petra edificabo Ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversum eam“, cosicché Pietro rese testimonianza a Gesù sotto l’impero di Claudio Cesare Augusto Germanico Nerone.
E dopo l’umile pescatore di Galilea vennero gli altri vicari di Cristo, alcuni onorevoli ed altri, magari i meno, assai poco onorevoli, tuttavia furono reggitori della Chiesa di Cristo che non volle uomini superiori, ma uomini con i loro difetti e le loro passioni per stabilire che la Chiesa fosse un entità in cammino, un po’ come canteranno secoli e secoli dopo “When the Saints go marchi’in…”
Ma, tornando alle critiche che vengon mosse a Francesco, forse non è sbagliato riguardare i suoi predecessori per cogliere il segno di quel Personaggio che è presente sempre al Conclave, ma che tutti tendono a ignorare.
In altro articolo di questa testata han scritto “…in Conclave ci saranno i 135 elettori più due figure invisibili: lo Spirito Santo e il simulacro di Jorge Bergoglio che ha nominato 104 di quei cardinali elettori…”, ebbene guardando ai predecessori è forse possibile dissipare la cortina dei giudizi puramente umani, da rete…
Eugenio Pacelli, aristocratico, come Pio XII fu il papa della Seconda Guerra Mondiale: ieratico, solenne, tuttavia preparò Monsignor Giovanni Battista Montini che sarebbe divenuto Papa Paolo VI, il pontefice che completò il Concilio Ecumenico Vaticano II, che riformò il messale della Santa Messa portandolo in italiano, che fu il pontefice dell’incontro con gli ortodossi e dell’avvio dei viaggi pontificali, ma anche l’uomo umile che rivolse il famoso messaggio alle Brigate Rosse perché liberassero l’amico Aldo Moro “… uomo buono…“
Non lo ascoltarono, non ascoltarono il pontefice che da arcivescovo di Milano era andato nelle fabbriche.

Prima di lui, che era stato un buon diplomatico della Santa Sede, c’era stato un altro diplomatico, il Patriarca di Venezia Monsignor Angelo Roncalli che sarebbe divenuto il “Papa Buono”, quello del discorso “della Luna”, “del portate una carezza ai vostri bimbi”, il papa che andò nelle carceri, il papa della enciclica “Pacem in terris”, il papa che avrebbe indetto il Concilio, chiuso poi da suo successore, ma il papa che fu tra Krushev e Kennedy nella crisi di Cuba del 1962.
Primi di agosto del 1978, si spegne Paolo VI e gli succede Albino Luciani anche egli Patriarca di Venezia, per inciso l’attuale non è un cardinale elettore non essendo giunto alla porpora cardinalizia.
Il suo governo della Chiesa è brevissimo, ovvero trentatré giorni, tuttavia sono giorni di alta significatività.
Diranno di lui del complotto e della morte misteriosa…
Gli succede il pontefice che dirà, dopo l’annuncio del cardinale Pericle Felice, “…non so se saprò parlare la vostra bella… nostra bella lingua italiana… ma se mi sbalio voi mi corriggerete…” e fu l’applauso irrefrenabile che diede origine al pontificato di Giovanni Paolo II che diede testimonianza e impulso ad una vera rivoluzione mondiale.
Era uomo che aveva lavorato in cave e miniere, che aveva studiato di nascosto anche in seminario, che s’era occupato di teatro, che s’era opposto al comunismo sovietico nella natia Polonia, Monsignor Karol Woytila, arcivescovo di Cracovia e collaboratore del Primate di Polonia. Il suo pontificato sarebbe stato incredibile e avrebbe transitato la Chiesa, con i suoi mille viaggi e l’attenzione ai giovani e ai bambini, nel Nuovo Millennio! Fu il papa del perdono al suo attentatore…
Dopo di lui, è venuto Monsignor Joseph Ratzinger, insigne teologo e filosofo, uomo mite che era stato suo collaboratore stretto e che quando gli chiesero se avrebbe continuato a scegliere come aveva fatto il suo predecessore disse con fermezza ed umiltà “… non è detto! Potrei prendere decisioni diverse… perché all’epoca ero un suo collaboratore, ora sarebbe diverso…”
Andò ad Auschwitz e cercò di rispondere alla domanda “Dio dove sei?” E poi gli impedirono la lectio magistralis alla Sapienza di Roma. Un giorno decise di dimettersi e si sollevò un vespaio. Le ragioni delle dimissioni, quelle vere, restano un segreto della sua anima, del suo cuore, del cuore e dell’anima di un gigante.
Rimase in Vaticano a Santa Marta e divise il luogo con il suo successore, il gesuita Mons. Jorge Bergoglio che, scegliendo il nome di Francesco, aggiunse: “i cardinali hanno voluto chiamare me quasi dai confini con la fine del mondo…” e, poco tempo dopo, a Lampedusa dichiarò che vedeva “…la globalizzazione della sofferenza…” e poi, quel momento terribile, il Venerdì Santo del 2020, la Via Crucis solitaria nella Piazza San Pietro, simbolo della Cristianità, sotto la pioggia battente, caricato di tutto il male del mondo…

E’ il papa che ha ribadito non poche cose pur aprendo molte porte. Contestato per la benedizione agli omosessuali, è anche chi ha detto che “…l’uomo può gridare arrabbiato a Dio…“, ma ha cercato di dare un esempio di umiltà che non può essere sottaciuto. La sua missione è legata a questo Anno Santo della Speranza, è legato all’aver detto delle due grandi guerre o conflitti in corso. Non ha taciuto di fronte al muro di omertà politica che accompagna questo nostro tempo con le sue ipocrisie.
Alcuni esponenti politici, dei quali è pia cosa tacere financo il nome, hanno sostenuto che sia stato un progressista e che abbia annacquato, diluito le cose rendendo difficile credere nei fondamenti della fede cristiana e cattolica… Ed è qui che la politica cessa di comprendere l’opera di Francesco, così come cessa di comprenderla ciascuno che non vede come il Santo Padre abbia voluto ricollegare le frange estreme dell’umanità di fronte al dramma dei piccoli, dei poveri e degli emarginati.
Si potrebbe andare oltre nell’approfondimento, ma la luce del giorno è calata ormai, le ombre della sera già incombono e il dito che scrive fa male, così direbbe Umberto Eco!
La salma di papa Francesco è stata visitata dalla gente e ora sarà vegliata nel silenzio della notte.
Il mio parroco emerito ha invocato “il silenzio e la preghiera” e se ho accettato di parlare, di scrivere, l’ho fatto per raccontare la testimonianza che le figure delle quali ho parlato hanno lasciato. La loro è una traccia storica irripetibile, un segno tangibile della presenza della Chiesa di Cristo nel mondo.
Ognuno di loro è stato ed è figura storica e figura della fede che Pietro scoprì in sé e che ha trasposto nei secoli a venire attraverso i suoi successori.
Ora cala il silenzio su Francesco… Il suo cammino terreno è terminato e come San Paolo ha indubbiamente cercato di combattere la buona battaglia e ora al cospetto del Suo Creatore è al dialogo oltre i giudizi fallaci di una umanità che, forse, sta perdendo sé stessa…