Roma è donna. Un reperto archeologico lo conferma e la storia della Città Eterna ne testimonia la grande influenza in ogni epoca

Prendo lo spunto da un lancio ANSA sul ritrovamento a Roma di un vetro che faceva, probabilmente, parte del fondo di una coppa in vetro datata al IV secolo, raffigurante, incisa in oro, la Dea Roma.

La scoperta è stata fatta durante gli scavi della Metro C, nei cantiere per la stazione di Porta Metronia, e viene considerata di alto valore proprio perché sarebbe la prima raffigurazione di Roma Dea e Donna su un raffinatissimo supporto in vetro dorato.

Nella Capitale non è insolito trovare reperti: fai un buco per le fondamenta di casa e ti salta fuori un pezzo da museo. La metropolitana di Roma ha subito mille peripezie a causa delle antichità ritrovate ed è stata abbandonata, addirittura, la realizzazione di un sottopasso proprio per la mole dei ritrovamenti effettuati.

Or dunque accennavo al fatto che Roma è donna perché? In barba a tanta mascolinità che, ispirata all’impero romano, anni addietro imperversava per l’Italia, di maschile c’è ben poco.

IL NOME “ROMA” DA DOVE ORIGINA?

La prima risposta spontanea è “da Romolo”. Servio, invece, sosteneva che il nome “Roma” derivasse dal quello arcaico del Tevere: “Rumon” o “Rumen”. La radice deriva dal verbo “ruo”, ovvero “scorrere”, quindi il significato della parola Roma sarebbe la “Città sul Fiume”. La maggior parte delle leggende, però, lo fanno derivare da quello di una donna, anzi da diverse.

Spaziando nella tradizione, pare che l’equipaggio di Ulisse, travolto da una tempesta, approdasse sulle coste del Lazio. Tra l’equipaggio c’era una schiava di nome Roma. Sia lei che tutte le altre schiave detenute a bordo si ruppero le scatole delle continue peregrinazioni alle quali le aveva assoggettate il buon Odisseo e diedero fuoco alle navi. Ecco che Ulisse e compagni si trovarono costretti a stabilirsi lì, in particolare sul colle Palatino. La città che fondarono prese il nome dalla schiava che aveva avuto il coraggio di decidere la sorte dell’equipaggio.

LA FAMIGLIA DI ENEA E ROMA

Ricordate la vicenda della fuga dal rogo della città di Troia di Enea assieme ai figli Julo e Ascanio e al vecchio padre Anchise? Scampati all’incendio, a bordo di una nave, giunsero sulle rive di quello che diventerà il Lazio. La leggenda riguarda la figlia di Ascanio e nipote di Enea la quale, guarda caso, si chiamava Roma. Quando i profughi troiani sbarcarono nel Lazio, conquistati i sette colli, fece erigere un tempio in onore della Dea Fides proprio nel posto dove sarebbe sorta la città che, per questo, avrebbe preso il suo nome.

Sempre riferito ad Ascanio esiste una seconda versione che attribuisce, invece, il nome dell’Urbe a sua moglie. Pure lei si chiamava Roma ed era la figlia di Telefo, a sua volta figlio di Ercole.

ANCORA SUL NOME DELL’URBE

Abbiamo finito? Ancora no. Altra storia: Roma era la figlia di Ulisse e della Maga Circe, quindi sorella di Telegono il suo assassino. Una curiosità? Ulisse avrebbe avuto un figlio maschio da Penelope che si chiamava Telemaco e un altro da Circe, Telegono, il cui nome significa “nato lontano”. Non basta, secondo alcuni Roma era la figlia di Telemaco e della maga Circe. Tornando a Romolo e Remo, invece il nome dell’Urbe deriverebbe dalla vera madre naturale dei due fratelli, Rome. Tagliamo la testa al toro: gli studiosi ancora oggi non sanno a chi o cosa attribuire il nome della Capitale d’Italia.

LA LUPA UN SIMBOLO POCO REGALE

Anche il simbolo della Cittò Eterna è di genere femminile infatti è una lupa mica un lupo. Perché l’animale è il simbolo di Roma?

C’era una volta una donna che si chiamava Acca Larentia moglie del pastore Faustolo. Fu la madre putativa di Romolo e Remo e a quanto pare era una lupa, termine col quale anticamente si identificavano le donne dedite al meretricio. Siccome la cosa non andava a genio al popolo Romano, soprattutto quando divenne padrone di un Impero, fu coniata la storia di Rea Silvia. Discendeva da Enea e Marte ed era la madre dei due gemelli allattati da una Lupa. Dovevano essere uccisi, ma dei servi pietosi li affidarono, in una cesta, alle acque del Tevere. Ritrovati da Faustolo, questi li portò alla moglie. Le origini di Roma assumevano un più nobile aspetto.

LA DEA ROMA

La città non fu solo donna, ma anche dea, come indicato dalla statua che fa bella mostra di sé in Piazza del Campidoglio. Fino dal II secolo a.C. la Dea Roma personificava lo stato romano e badate bene era un vero culto con tanto di adoratori. Un po’ come se noi si andasse ad accedere lumini votivi alla Camera dei Deputati e al Senato.

Per la verità la statua rappresentava in origine Minerva ma siccome avrebbe ben raffigurato la dea, cambiò nome e destinazione. La postura della scultura è fiera, rappresenta una donna con la lancia in una mano e la palla nell’altra (Roma caput mundi regit orbis et frena rotundi). Sembra quasi una Pulzella D’Orleans pronta a difendere l’Urbe capitolina. La sfera non rappresentava la Terra, all’epoca chi mai avrebbe potuto sapere che era tonda? Simboleggiava la sapienza, da non confondere con il globo crucigero che altra cosa è.

LE DONNE NON ERANO IMPORTANTI A ROMA? MA FATEMI IL PIACERE!

L’Urbe fu fortemente condizionata dalle donne: tutti ricordano Messalina o Cornelia madre dei Gracchi. Nella top ten delle donne più influenti dell’antica Roma si ricordano Aurelia Cotta, madre di Giulio Cesare e Servilia Cepione amante di Giulio Cesare e madre di Marco Giunio Bruto ( tu quoque Brute Fili mi). Vogliamo parlare di femministe ante litteram? Ecco Hortensia, la prima donna avvocato che  pronunciò una famosa orazione nel Foro a difesa delle donne romane.

Altra rappresentante del sesso femminile di non poca importanza: Annia Aurelia Galeria Lucilla nientemeno che Imperatrice romana, ma lo sanno in pochi. Ce la ritroveremo nel film “Il gladiatore” assieme a Commodo suo fratello.

Elena dove la mettiamo? Mi riferisco a Elena, madre di Costantino. Anch’essa ricevette il titolo di  Augusta, cioè Imperatrice. Era cristiana e portò a Roma un frammento della croce di Gesù Cristo tradizionalmente custodita nella Basilica di Santa croce in Gerusalemme. Per questo e per la sua devota cristianità divenne santa. Santa e Imperatrice allo stesso tempo, un primato mai eguagliato.

AGRIPPINA

Come si fa a non parlare di lei, quella che personificò la perfetta immagine di Imperatrice. Era figlia di Germanico e nipote di Tiberio, nonchè madre di Nerone. Alla morte del nonno suo fratello Caligola impugnò le redini dell’impero finchè non fu assassinato. Gli successe suo zio Claudio che, diventato vedovo di Messalina, impalmò Agrippina. Da quel momento la donna divenne una vera imperatrice nella gestione dello stato.

Cosa curiosa, tutte le persone che ebbero contatti con lei fecero una brutta fine a partire dal marito Caio Sallustio Passieno Crispo, uomo ricchissimo che passò a miglior vita poco dopo averla nominata sua unica erede. Fu poi la volta dell’imperatore Claudio di cui sopra che, forse, subodorò il grande potere nelle mani della moglie. Quando Agrippina ebbe sentore che “poteva” essere in pericolo, anche Claudio se ne andò “ad patres”.

Dopo la morte di Claudio, divenne imperatore Nerone suo figlio che, però, visse nel terrore della donna e a detta di Svetonio tentò per tre volte di avvelenarla. La storia ci racconta che, dalli e dalli, alla fine, ci riuscì. Agrippina ricoprì un ruolo primario nella dinastia giulio-claudia e condizionò l’Impero. Era una sorta di boss che, secondo alcuni, alla fine ebbe la sorte che si meritava.

FULVIA

Altra signora di “potere” Fulvia. La donna si mosse in un periodo in cui le nobildonne avevano abbandonato la cura delle cose domestiche e cosa più importante si occupavano di politica. Scrisse di lei Cicerone che nella sua casa c’era un mercato in cui si vendeva lo stato intero “Una donna che ha più fortuna per sé che per i suoi mariti vi mette all’incanto province e reami”.

Tentò anche di occupare Roma con Lucio Antonio, fratello di Marco (quello di Cleopatra per intenderci), ma le andò male e fuggì. Quando Marco Antonio ritornò dall’Egitto Fulvia era morta. Per rendere l’idea di quanto potere e considerazione avesse avuto quella donna, tornato in patria, l’allora chiacchierato Marco Antonio incontrò Ottaviano e fece cadere su Fulvia la colpa di tutte le accuse che gli erano state mosse. Come narra Dione Cassio, “deposero le armi e vennero ad un accordo perché era stata Fulvia ad alimentare in passato la loro inimicizia”.

LIVIA DRUSILLA

Era la moglie di Ottaviano. Le malelingue sostenevano che arrivò a dominare il marito. l’Imperatore era molto attento ai pareri della donna. S’intratteneva con lei in lunghe conversazioni durante le quali, pare, le confidasse importanti segreti prendendo appunti per non dimenticare le osservazioni della consorte.

Quando l’Imperatore passò a miglior vita le lasciò nel suo testamento un terzo del patrimonio familiare e la adottò come figlia. Cambiato il suo nome in Giulia Augusta divenne una sacerdotessa ufficiale del culto di Augusto deificato. La donna era riuscita, infatti, tramestando nel torbido come suo uso, a far divinizzare il marito con una bustarella data a un senatore affinché giurasse di aver visto Augusto ascendere al cielo dopo la cremazione.

E PER FINIRE LE VESTALI

Le vestali sono presenti nella storia di Roma fin dalla sua nascita. Sacerdotesse vergini custodivano il fuoco consacrato a una divinità romana della quale si sa poco o nulla: la dea Caca. Quel che si conosce è solo che fu sostituita da Vesta.

Erano importanti? Eccome! Vesta era, per i romani, una divinità fondamentale. Proteggeva la casa e il focolare domestico, ma soprattutto quello pubblico che ardeva perennemente nel tempio. Quel sacro fuoco rappresentava la vita stessa della città e il suo spegnimento avrebbe portato sventure e lutti. Ecco il motivo per cui le vestali ricoprivano un ruolo di così fondamentale importanza. Il destino di Roma era nelle loro mani e a loro era affidata la custodia dei sette pignora imperii.

COSA ERANO I SETTE PIGNORA IMPERII?

Erano i cimeli sacri della città, garanti dell’imperitura potenza dell’Urbe. Questi oggetti, sacri ai Romani, garantivano, secondo la tradizione, il potere e la salvezza della Res Publica. Immaginate con quanta cura erano conservati e quanto potere poteva avere chi li aveva in custodia. Scrive di questi oggetti Marius Servius Honoratus in “Vergilio Carmina Commentari ad Aen”:

septem fuerunt pignora, quae imperium tenent: acus matris deum, quadriga fictilis Veientanorum, cineres Orestis, sceptrum Priami, velum Ilionae, palladium, ancilia.”. In italiano suona così:

ci furono sette garanzie a tenere il potere a Roma: l’ago della Madre degli Dei, la quadriga di argilla dei Veienti, le ceneri di Oreste, lo scettro di Priamo, il velo di ilima, il palladio, gli ancilia”.

Se la cosa interessa se ne può trattare in un prossimo articolo.

IL FEMMINISMO AL TEMPO DELL’ ANTICA ROMA

Il  femminismo e la difesa dei diritti della donna trovano la loro origine già nell’ Antica Roma quando le donne scesero in piazza per rivendicare i loro diritti, in particolare per chiedere l’abrogazione della legge che li limitava: la lex Oppia. La legge era stata proposta dal tribuno della plebe Gaio Oppio nel 215 a.C. quando, dopo avere vinto a Canne, la Repubblica era in una profonda crisi politica e finanziaria.

La legge colpiva il lusso femminile stabilendo che le donne non potessero possedere più di mezza oncia d’oro e tanto meno indossare abiti dai colori vivaci o andare in giro con la carrozza.

Catone

Erano passati sette anni dalla sconfitta definitiva di Annibale a Zama e quella legge non aveva più ragione di esistere. Due tribuni della plebe, Marco Fundanio e Lucio Valerio, ne proposero, quindi, l’abrogazione. Come sempre in politica, nel Senato Romano si aprì uno scontro tra chi era favorevole ad abrogare la legge e chi voleva conservarla.

Le donne, lo sappiamo, quando vogliono tirano dritte per la loro strada e sono irresistibili, così un gran numero di matrone andò a casa di due dei tribuni contrari all’abrogazione e fecero il primo sit-in della storia del mondo!

In Senato, Catone il vecchio soprannominato “il Censore” per le sue idee conservatrici, definì la cosa “un’insurrezione di matrone in preda al panico“. Fece notare ai padri coscritti che, qualora fosse stata data loro ragione, le donne avrebbero potuto rimettere in discussione le leggi fatte dagli antenati che le sottomettevano ai loro mariti. Ascoltarle poteva creare un pericoloso precedente. Ma come si fa a resistere alle donne quando ci si mettono di buzzo buono? Catone non fu ascoltato e la legge abrogata. L’anno? Era il 195 a.C. .

UNA CONSIDERAZIONE

Alla fine, per quanto si voglia rigirare la frittata, il gentil sesso a Roma, sia stato cortigiano, moglie o imperatrice, fu il motore dell’Impero. Le donne operarono apertamente o all’ombra dei loro mariti, figli o fratelli, ma furono loro a tessere la storia dell’Urbe. Roma è Donna? Il nome e il simbolo ci dicono di si, ma lo conferma anche la storia. Un Saluto.