Storia semiseria dell’origine di Roma: la “Città Eterna” fra leggende e misteri che narrano di Enea, lupe, prostitute, fratricidi, oche e avvoltoi

Vogliamo trattare della fondazione di Roma? Non basta Tito Livio? Bene ci provo alla mia maniera, poi non ditemi che sono poco serio.
Oltre due millenni gravano sulle spalle della Capitale intorbidendo la sua nascita con l’immaginario e talvolta con l’immaginifico come nel caso di Virgilio. Districare il groviglio tra storia e leggenda non pare cosa proprio semplice. Un esempio banale ma indicativo: quanti furono i sette re di Roma? La risposta corretta è che i sette re di Roma furono otto. Strano? Ma neanche un po’. Nel computo viene sempre tralasciato Romolo che fu il primo re e del quale non si è nemmeno certi dell’esistenza.
INIZIAMO L’AVVENTURA
Vediamo un po’ le cose come stavano qualche millennio orsono. L’Urbe, che ancora non era tale, era un insieme di catapecchie nel Lazio (Latium). Perchè la regione si chiamava così? Pare che, tra le tante teorie, l’appellativo derivasse dal latino “Latere” cioè nascondersi: insomma era un ricettacolo di delinquenti fuggitivi che si rintanavano lì.
Purtroppo da quelle parti non ci voleva andare nessuno vista la cattiva reputazione del luogo e di donne, quindi, manco a parlarne. Come mettere su famiglia? La cosa era seria: la gioventù maschile romana non batteva un chiodo che fosse uno e aveva una voglia disperata di congiungersi con qualcosa di femminino. Diciamocelo: all’inizio la Città Eterna era una ciofeca fatta di casupole e manigoldi solitari.
CI PENSA ROMOLO
Quando Romolo divenne re, si ripresentò il problema: la popolazione non cresceva per mancanza di materia prima, un po’ come oggi in Italia dove mancando di gioventù procreante il suolo patrio sta diventando una distesa di vecchi e di badanti filippine. Cosa fece Romolo? Affrontò la faccenda a modo suo. Organizzò dei giochi in onore di Nettuno Equestre e invitò tutto il vicinato a presenziarvi, poi…:
“Quando arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati sui giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti. […]” (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.)
Pure Romolo rimediò una moglie in quel putiferio: Ersilia dalla quale ebbe due figli: una femmina, Prima, ed un maschio, Avilio. La vicenda del rapimento passò alla storia come il Ratto delle Sabine .
LE SABINE
Onestamente le fanciulle della Sabina, erano burinozze ma bellocce, coi rossi sulle guance e dalle carni sode, roba robusta che dava una certa affidabilità per il futuro. Come nel film “Sette spose per sette fratelli”, le ragazze rapite (chi dice trenta, chi ottocento), lì per lì si lamentarono, ma siccome i giovanotti romani le trattarono bene non se la presero, poi, così male.

Quando arrivarono i parenti intenzionati a riprendersele, le fanciulle non è che erano proprio contente della cosa anzi… e si gettarono in mezzo alla mischia per fermare la battaglia. D’altro canto i rapitori, seppur non raffinati, insomma…, come dire?… non erano così male. Ritornare da quei paesanotti dopo avere assaggiato quei virili energumeni locali nun se poteva proprio più fà.
Così le ragazze, stando in mezzo ai contendenti che se le davano di santa ragione: ”da una parte supplicavano i mariti [i Romani] e dall’altra i padri [i Sabini]. Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri.” (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.)
COME NOBILITARE ROMA
Va da sè che, col passare degli anni, Roma, divenuta città importante e potente, non poteva tirare avanti senza una origine quantomeno nobile, mica si poteva ammettere che “Roma caput mundi” aveva dei trascorsi tanto infimi. Così Ottaviano Augusto chiamò Virgilio e gli disse: “Oè poeta, inventati qualcosa che dia lustro alle origini di questa città”. L’opera doveva essere un poema di fondazione divina e regale, che esaltasse il mos maiorum, cioè la tradizione romana e la sua missione di pace e giustizia, un po’ come gli americani, insomma.
Detto fatto il poeta si mise all’opera e riallacciandosi alla storia delle peregrinazioni di Enea, traendo spunto da Omero e dalle vicende di Troia tirò fuori l’Eneide dalla quale, poi, vien fuori la storia di Roma.
L’INCENDIO DI TROIA

Ricordate la vicenda della fuga di Enea da Troia in fiamme, assieme al figlio Ascanio detto Julo e al vecchio padre Anchise che se lo portava sulle spalle manco fosse uno zaino? Ebbene, scampati all’incendio e saliti a bordo di una nave, si ritrovarono ad approdare sulle rive del Lazio: erano antesignani extracomunitari.
Sceso dalla nave e scaricato per terra il vecchio Anchise che se ne era stato abbarbicato sul suo groppone come un pappagallo, Enea si guardò intorno, fece un rapido calcolo ed esclamò: “ma porc.. dove è andata a finì Creusa?” Creusa era la moglie e se l’era scordata a Troia.
– Papà ‘ndo vai? – chiese Ascanio
– Vado a ripijà tu’ madre chè se la semo scordata a Troia.–
– A’ papà, te sei portato sulle spalle nonno e te sei scordato mamma?- .
Enea allargò le braccia in un gesto di triste desolazione.
IL RITORNO A TROIA
Arrivato di nuovo a Troia, non trovando la sposa, cominciò a chiamarla urlando come una bestia ed ecco comparire l’ombra di Creusa, la quale, invece di mandarlo a quel paese perché s’era scordato di lei, lo confortò dicendo : “Sta su bello perché devi da ritornà indietro e arrivà alla foce d’un fiume (il Tevere) che poi vedrai… –
Enea era disperato e ci credo perché Creusa, tra l’altro, era la figlia di Priamo il re di Troia e di Eucuba, nonché sorella di Ettore, Paride, Laodice, Cassandra e Polissena, insomma mezza mitologia greca e litigare con quelli erano guai… .
Mentre l’ombra sventolava il fazzoletto salutando il marito che riprendeva il mare, lo rassicurò che non sarebbe diventata concubina di Neottolemo perché la Dea Cibele le aveva trovato un posto presso di lei come segretaria.
Per chi lo volesse sapere Neottolemo era nientemeno che il figlio di Achille e della regina Deidamia che s’era preso come concubina Andromaca, la moglie del povero Ettore e aveva ammazzato il di lei figlio Astianatte, insomma un vero brav’uomo che fece, però, una brutta fine. Siccome era sessualmente vispo, morì ammazzato a Delfi dietro mandato di Oreste che era geloso di certa Ermione la quale lungi dall’essere l’amica di Harry Potter, pare fosse l’amante di Neottolemo.
DI NUOVO NEL LAZIO
Tornato con l’animo straziato, divenne amico del re Latino pare dopo averlo battuto in una battaglia. Ne conobbe la figlia Lavinia. I due si innamorarono e nonostante lei fosse stata promessa a Turno, re dei Rutuli, si sposarono. Una volta uniti in matrimonio, Enea, che non si fermava manco a sparargli, decise di fondare una città, dandole il nome di Lavinio. Vicino Roma c’è ancora un posto che si chiama “Lido di Enea” dove ci si va al mare e una fiorente cittadina balneare: Lavinio.
E RITORNIAMO A ROMA
Del nome della Città Eterna se ne sa poco. Tutti dicono derivi da “Romolo”, anzi c’è chi sostiene che il fondatore di Roma, anziché Romolo si chiamasse Romo. Plutarco invece lo fa derivare da Rumon, l’antico nome del Tevere. In realtà pare che sia tratto da quello di una donna, anzi ci sono diverse ipotesi che vi propongo:
PIGLIAMOLA LARGA
Le leggende greche ci dicono che Roma era la figlia di Ulisse e della Maga Circe, quindi sorella di Telegono. Visto che ci sono ecco una curiosità: Ulisse ebbe un figlio maschio da Penelope che si chiamava Telemaco (“colui che combatte lontano“) e un altro da Circe, Telegono, (“nato lontano”). Quando Circe sentiva uno squillo di tromba gridava: “rispondete al Telegono!”. Siccome le leggende non sono ben chiare, secondo alcuni Roma era, invece, la figlia di Telemaco e della maga Circe: “rispondete al Telemaco“.
Altra versione? Eccola servita: fu la figlia di Ascanio e nipote di Enea che, guarda caso, si chiamava Roma, a dare il nome alla futura Città Eterna perchè quando i profughi troiani sbarcarono nel Lazio e conquistarono i sette colli, fece erigere un tempio in onore della Dea Fides proprio nel posto dove sarebbe sorta l’Urbe.
Che poi questa Roma sarebbe stata la moglie, non si sa bene, se dello stesso Enea o di Ascanio ed era figlia di Telefo e nipote di Ercole. Capite perché noi romani siamo sempre così vaghi? Non abbiamo certezze “ab origine”.
Chiedete una cosa a un romano e vedrete:
– Scusi dove è via xy?–
– Ma guardi, me pare da ‘ste parti ma me posso sbajià…”-
Insomma il nome Roma da dove spunta? Per porre fine alle incertezze sappiate che gli studiosi ancora non sanno a chi o a cosa attribuire il nome della Capitale d’Italia.
COME È NATA ROMA? (CI AVVICINIAMO)
Quando Enea impalmò Lavinia, la figlia del re Latino, Ascanio ne combinò una delle sue. Non ve la racconto perché la faccenda è lunga. Sta di fatto che per causa sua scoppiò una guerra coi Rutuli. I profughi troiani la vinsero e dopo la morte di Enea, Ascanio (detto Julo) fondò Alba Longa. Attenzione perché da Julo nacque la Gens Julia alla quale apparteneva Giulio Cesare!
Trascorsero anni, finchè presero il potere lo zio Numitore e suo fratello Amulio. Pare che il vero nome di quest’ultimo fosse “Mulio”. Numitore lo chiamava ogni secondo: “A’ Mulio senti un po’…“, A’ Mulio me porti quella cosa?“, “A’ Mulio ce sarebbero da fa du’ commissioni…“. (Nota: mettere la “A'” davanti a un nome è una specie di preverbio, utilizzato in romanesco per rivolgersi a qualcuno). Stanco di correre qua e là Amulio depose il fratello prendendone il posto e siccome non gli andava che venissero al mondo eventuali pretendenti alla corona, obbligò l’unica figlia del fratello, Rea Silvia, a diventare vestale che, come ogni vestale che si rispetti dovette fare voto di castità.
NON TUTTE LE CIAMBELLE RIESCONO COL BUCO

Tutto poteva pensare Amulio tranne che Marte, il dio della guerra, si innamorasse della nipote vestale. Invece fu amore e dopo aver fatto quello che doveva fare con la ragazza, il dio la rese madre di due gemelli: Romolo e Remo.
Essendo Rea Silvia una vestale, doveva rimanere illibata, fu, quindi, condannata a morte e seppellita viva. Ma il fiume Aniene (chi dice il Tevere), nelle cui acque il corpo era stato gettato, la resuscitò, avendo pietà di lei.
Lo zietto Amulio, amoroso, inoltre, diede ordine di uccidere i due marmocchi, ma i soldati per pietà li risparmiarono abbandonandoli in una cesta lungo il fiume Tevere un po’ come Mosè.
I due furono salvati dal pastore Faustolo il quale, trovata una lupa che stava allattando due pupetti, li adottò, crescendoli con l’aiuto di Acca Larenzia sua moglie.
UNA PUNTUALIZZAZIONE
Altra versione dei fatti: Faustolo trovò una prostituta (lupa) che allattava i due infanti e li adottò.
E ancora: Acca Larenzia, madre putativa di Romolo e Remo, pare fosse una prostituta, quindi una “lupa” termine con cui erano indicate in quei tempi le professioniste del settore. Da questa parola origina il temine “lupanare” cioè il luogo che ospitava queste signore durante i loro adempimenti professionali. Vai a capire cosa accadde veramente. Siccome non si può mai stare tranquilli, vedremo, in seguito, che i romani nel trascorso ventennio tornarono ad essere “figli della lupa”.
Diventati adulti i gemelli appresero di essere non soltanto nipoti di re e figli del dio Marte ma che la vera madre era stata ammazzata. I due si guardarono in faccia ed esclamarono: “C’ha fatto zio??? “. Andarono ad Alba Longa, presero Amulio e gli dissero: “Senti a’ zi’ te dovemo da di‘ una cosa…” e lo scannarono restituendo, quindi, la città, al nonno Numitore. Successivamente, fondarono una colonia nei pressi della riva destra del Tevere, nel luogo in cui erano stati allattati dalla lupa (e si ritorna all’animale).
LA FONDAZIONE DI ROMA
Ci siete? Stanchi? Pigliatevi un caffè che poi si ricomincia.

I due fratelli, dicevamo, pensarono di fondare una città e la discordia iniziò subito a serpeggiare tra loro. Romolo voleva chiamare la nuova città Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la voleva chiamare Remora e fondarla sull’Aventino.
Per risolvere la questione si dissero: “Contiamo gli uccelli” e così si misero a cercare volatili per il cielo allo scopo di conoscere il parere degli dei.
Per farla breve: Remo avvistò sei avvoltoi. Entusiasta lo annunciò a tutti, Romolo, invece, dodici, vincendo la partita con ampio scarto di volatili. Che poi dove avevano trovato gli avvoltoi a Roma lo sanno solo loro. A Romolo spettava l’onore ed il diritto alla fondazione. Tracciò, con un aratro il solco del perimetro che delimitava il “pomerio”, cioè la zona sacra della città, ma Remo con un salto, sbeffeggiando il fratello, oltrepassò il solco. Non l’avesse mai fatto… I due litigarono e Romolo mandò Remo a trovare gli avi pronunciando (secondo Tito Livio) la famosa frase: “Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura”.
Questa sarebbe la nascita di Roma, bella roba eh? Per informazione il “Pomerio era un fossato delimitato da un solco detto “urvus” da cui il nome “Urbe”. Romolo diventò il primo re di Roma con tutto quello che ne conseguì.
FU VERAMENTE QUESTA LA NASCITA?
Non proprio. Gli studiosi hanno stabilito che Roma nacque da un processo di graduale unificazione dei villaggi e insediamenti situati sulle colline vicino al Tevere. Questo processo, chiamato sinecismo, avvenne nel corso di diversi secoli. Si trattava di insediamenti dell’antica popolazione dei latini cui si aggiunsero i sabini provenienti dalle montagne dell’alto Lazio e nuclei di mercanti ed artigiani etruschi. Romolo rappresentò con tutta probablità colui che unì caciotte, zampogne e salsicce originando una pietanza (Roma) che rimase indigesta a molti.
Mi sorge un dubbio: se i romani discendono da Ascanio figlio di Enea sono troiani pure loro e siccome Troia è in Turchia, noi (i romani) saremmo turchi? Il Vaticano sorgerebbe in una città islamica?
LA FINE DI ROMOLO
Sosteneva Cesare d’Onofrio che il Pantheon fu edificato nel punto da cui Romolo “ascese” in cielo. Già perché il fondatore di Roma e suo primo re non passò a miglior vita come tutti i comuni mortali. Come andò al Creatore? Dunque, il Nostro doveva passare in rassegna l’esercito. A detta di Tito Livio in quel giorno un forte temporale si stava abbattendo su Roma. Romolo, giunto al Campo Marzio, aveva iniziato ad arringare i militari quando una nube lo avvolse come per magia, nascondendolo alla vista. Diradatasi la nube era svanito! I soldati credettero di avere assistito ad un evento divino (non proprio tutti, qualcuno pensò che fosse scappato, altri che fosse stato assassinato).
DEIFICAZIONE
Siccome si trattava del Re fondatore dell’Urbe poteva mai morire ammazzato o darsela a gambe? Giammai! Prevalse, così, la tesi secondo la quale Romolo fosse salito in cielo. Per questo motivo lo deificarono con il nome di Quirino, anzi gli eressero un tempio sul colle che prese, successivamente, il nome di Quirinale. Da allora l’appellativo corretto degli abitanti della Capitale sarebbe “quiriti”. Il celebre acronimo di Roma “S.P.Q.R.” significherebbe infatti: “Senatus Populus Quirites Romani”, ma siccome gli storici concordano raramente, secondo altri starebbe per: “Senatus PopulusQue Romanus”!!!
E PER FINIRE LE OCHE…

La Capitale ha legato la sua storia alle Oche. Conoscete la vicenda? I Francesi (i Galli) assediavano Roma e cercavano il modo per penetrare nel colle del Campidoglio.
Qui sorgeva il tempio di Giunone ed era circondato da oche razzolanti liberamente in quanto sacre alla Dea. I romani, che a causa dell’assedio, facevano la fame, avevano da tempo pensato di farsi un po’ di giunonici panini con i volatili ma il terrore per la vendetta della Dea li aveva fatti desistere.
La leggenda narra che, avendo le oche sentito i Galli arrampicarsi su per il Colle, cominciassero a starnazzare rumorosamente. L’ex Console Marco Manlio, svegliato dal loro baccano, andò in perlustrazione e si scontrò con un soldato gallo che si arrampicava su per il colle. “Pardon” disse il romano al francese e con un colpo dello scudo gli tranciò tre dita della mano, “Pas du tout” rispose il gallo cadendo in testa ai suoi compari sotto di lui.
Poi ci pensò Furio Camillo a far fuggire Brenno e Galli ma questa è altra storia. Che ne fu di Marco Manlio? Un bel giorno lo buttarono giù dalla Rupe Tarpea perché accusato di aspirare alla tirannide. Naturalmente non tutti sono concordi, al solito, sulla sua fine: una cosa è però, certa: l’ammazzarono.
FINIS
Suona la campanella del nostro breve corso di storia. Come avrete notato per Roma si attaglia il verso del Cinque Maggio di Manzoni: “Fu vera gloria, ai posteri l’ardua sentenza“.
Tirando le somme Roma ebbe una curiosa iperbole. Sebbene originasse da un extracomunitario approdato col solito barcone, da due fratelli allevati da una peripatetica, fosse stata inzuppata dal sangue di un fratricidio, crebbe grazie a un rapimento, si ammantò di gloria, anzi divenne una sorta di padrona del mondo conosciuto. I suoi natali furono ingloriosi e misterosi a tal punto che ancora oggi se ne sa poco più d’un cappero sulla sua nascita. Nel nostro caso la domanda posta da Paul Gauguin “ Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” non trova completa risposta. E ora una “full immersion” di romanità…
Un Saluto
LEO Vito