Terzapagina – “Anatomia di una crisi”

Riecheggiano ancora le parole di un blog che si richiama su FB al cosiddetto “Comandante Alfa”, il fondatore dei GIS dei Carabinieri, ormai in pensione (cfr. nello sketch della Fig.1), le sue parole scendono giù nell’anima e fanno riflettere, così come pure quelle della sua precisazione nel blog successivo (cfr. nello sketch della Fig. 2).


Ma davvero cosa sta succedendo? Sì siamo in crisi, una emergenza sanitaria inusitata specie per la nostra società, ma davvero cosa è successo? E’ quel che vogliamo approfondire…
Non abbiamo ancora certezza del “tempo zero”, ovvero del reale inizio di questa crisi, oppure anche se è nota per ora non ha molta importanza, infatti, che sia stato l’inizio a gennaio, o a febbraio, oppure peggio molto tempo prima, non cambia il fatto che, per usare una colorita espressione, la società mondiale è stata trovata, letteralmente, “con le braghe calate” oppure, in maniera un po’ più dialettale, “con una mane ‘nnanze e una arrete”!
Il perché di questo lo vedremo.
Cominciamo, invece, per ora a guardare al fatto che la società dell’elettronica a più o meno buon mercato per tutti, quella dell’autismo smartphonico, non ha ancora trovato gli estremi per una azione efficace.
In un blog dell’Italia e il Mondo del 14.03.2020 si ipotizza che Italia e Cina, attuando un modello di azione basato sulla limitazione dei contatti abbiano fatto la scelta ottimale. Nel blog EPIDEMIA CORONAVIRUS: DUE APPROCCI STRATEGICI A CONFRONTO, DI ROBERTO BUFFAGNI, vengono proposti i seguenti due modelli di azione:
1) Non si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati (modello tedesco, britannico, parzialmente francese);
2) Si contrasta il contagio contenendolo il più possibile con provvedimenti emergenziali di isolamento della popolazione (modello cinese, italiano, sudcoreano).

Ora al di là di facili commenti, queste due posizioni tendono ad essere, di fatto, una giustificazione del fatto che la società attuale sembra essere incapace di gestire la crisi, per mancanza di mezzi, forse anche idee ma soprattutto perché l’organizzazione sembra essere andata per aria, come dopo una esplosione nucleare e, infatti, le città appaiono deserte come se l’umanità fosse quasi sparita!
Forse un aiuto per comprendere ci può venire affrontando la questione da punti di vista meno diretti, più laterali. E’ quello che si può fare attingendo all’articolo di Paolo Di Stefano sulla Lettura del Corriere della Sera di domenica 22 marzo u.s.
In queste belle pagine, Antonio Prete, critico di Giacomo Leopardi asserisce qualcosa che forse potrebbe aiutare a capire, “…è il senso della caducità, l’assumere su di sé la coscienza dell’appartenenza al limite naturale…” dice e poi aggiunge che “…l’uomo attraverso la scienza e l’immaginazione, possa contribuire a costruire rapporti di una qualche armonia [con la natura]…”. Questa visione leopardiana va tenuta a mente per giungere poi alla deduzione finale.
Salvatore Natoli, filosofo, soggiunge: “…In una società come quella contemporanea, programmata per scadenze e ritmi, l’uomo è condotto da volontà esterne, non da altre persone ma da una macchina impersonale…” Riflettendo su quel “dio” enunciato da Heidegger, non si può non pensare che la volontà esterna sia quella della “tecnologia” in luogo della scienza, la tekné in luogo del logos… Per una psicoanalista come Simona Argentieri “…ciò che colpisce sono le contraddizioni…gli atteggiamenti contraddittori dei singoli individui…tra gratitudine e rispetto…ma anche di ribellione adolescenziale su chi vuol mettere limiti…” Secondo poi Natoli, nel nostro caso rinasce l’idea dello Stato, non più minimo nel senso del liberalismo, ma di una entità più invasiva della quale si reclama l’intervento che sembra non venire in maniera tempestiva.
Alla domanda se si “uscirà dalla catastrofe”, lo psichiatra Eugenio Borgna risponde dicendo che “…la fragilità ha sempre fatto della nostra vita, ma rimane nascosta, è ritenuta inutile…La debolezza è la mia forza ha scritto San Paolo, ma ora la sentiamo come grave mancanza nella impossibilità di dare un andamento prevedibile alle cose…“, quindi un altro elemento è la sensazione di “impotenza” a gestire le situazioni e i fatti e purtroppo “…la fragilità oggi più che mai somiglia a una sconfitta della ragione…” e poi, in fin dei conti, “…non sapere da dove viene il male di vivere è ancora più angosciante…” E questo è un altro punto assai importante.
Ma, forse, la chiave di lettura finale la fornisce Lamberto Maffei, neurobiologo e medico, quando asserisce che “…è un momento grave, piovuto su di noi in una fase di rivoluzione del nostro comportamento: il passaggio di mentalità verso la rivoluzione digitale era stato già abbastanza stressante, perché ci si era dovuti adattare a percorsi più veloci…“, con una sintesi dialettale si potrebbe dire che “je passagge daje traine aje trene è state troppe rapide” (il passaggio verso le nuove tecnologie è stato troppo rapido)!
E a questo punto abbiamo tutti gli elementi per il rapporto autoptico di questa emergenza sanitaria il connotato saliente della quale lo ritroviamo, in sintesi, “nella fragilità della società dovuta all’aver riposto la sua piena fiducia nella tecnologia in luogo della scienza“, così come pure nel fatto che la tecnologia ha teso a mostrare che non esistano limiti, quelli che la scienza invece riconosce e gestisce, e quindi trovarsi di fronte ad una natura ostile e non dominabile immediatamente proprio per mancanze di conoscenze, perché la tecnologia fornisce solo abilità empiriche, crea disorientamento e reazioni contraddittorie, non solo negli individui ma anche nei politici e nei decision maker col risultato che, nella sicurezza di saper tutto gestire, calano le attenzioni, le prudenze e al sovvenire della crisi ci si deve aggrappare a rimedi ancestrali come la segregazione.
Fra qualche giorno, sarà il “Dante Day”, perciò come non ricordare quel “…fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza…”, ora perdonatemi ma la canoscenza è compito della scienza, non della tecnologia!

P.S. L’immagine in testata è tratta da Il Nome della Rosa



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