Terzapagina – “My China’s Experience” (La mia personale esperienza della Cina) – 2°

il drago di fiamma-mino milani-mursia 1967
La copertina del Drago di Fiamma di Mino Milani

Esistono numerose vicende storiche, sia pur romanzate, che vedono la Cina come protagonista: la prima che mi capitò fu quella di un romanzo poco conosciuto di Mino Milani, ambientato all’epoca della Rivolta dei Boxer, all’inizio del ‘900. L’ambientazione è simile a quella del film “55 giorni a Pechino” con Charlton Heston e Ava Gardner, anche se la storia si svolge fuori della capitale e nel periodo che va dall’inizio dell’assedio dei Boxer al Quartiere delle Legazioni alla sua liberazione.
Il pregio di Mino Milani fu la puntuale documentazione di numerosi aspetti della vita cinese di quell’epoca.
Molto tempo dopo, mi capitò fra le mani “L’Impero dei Draghi”, ovvero il romanzo di Valerio Massimo Manfredi nel quale Questi ipotizzò una storia che si svolgeva in quel che fu un contatto possibile fra i due più grandi imperi della storia umana e cioè l’Impero Romano ed il Celeste Impero.
Nel frattempo, fra il libro di Milano e quello di Manfredi, ho avuto modo di leggere le ricostruzioni fatte da Storia Illustrata ed Epoca delle vicende fra la fine dell’Impero, con la caduta dell’Imperatrice Vedova, la nascita e la storia del Kuomintang di Chang Kai Shek (1912) e lo sviluppo della storia cinese fino alla contrapposizione con il movimento di Mao, la Lunga Marcia, e l’alleanza contro l’invasione giapponese.
La Rivoluzione Culturale, illustrata da Epoca e da Storia Illustrata, mi parve allora, una realtà confusa e di difficile lettura e solo in tempi recenti mi è apparsa nella sua reale portata.
Nell’agosto del 1966, Mao Zedong, assicuratosi il sostegno dell’Esercito popolare di liberazione guidato da Lin Biao (scomparso nel 1971), inaugurò la fase aperta della rivoluzione attraverso un manifesto redatto da lui stesso e manifestazioni nella piazza Tiananmen (tra il 18 agosto ed il 25 novembre di quell’anno). Gli studenti delle scuole inferiori e superiori, organizzati nelle strutture delle Guardie rosse (Hongweibing), risposero numerosissimi all’appello di Mao: i manifesti (dazibao) e le violenze contro i politici e i rappresentanti al potere pullulavano nelle province, nelle città e nelle unità di lavoro organizzate e controllate (danwei). Con quell’azione si cercò di eliminare qualsiasi cosa avesse un qualche legame con il “vecchio mondo”, col “vecchio sistema”, come quello scolastico-culturale, e i comitati di partito furono sostituiti da Comitati rivoluzionari gestiti da masse di persone, ovvero insieme dal partito e dall’esercito. Personaggi importanti del PCC furono accusati di minare lo spirito della rivoluzione proletaria, costretti all’autocritica, alle dimissioni e a trasferirsi – soprattutto gli intellettuali – nelle campagne più remote per essere “rieducati”; in caso di resistenza fu frequente il ricorso alla violenza fisica e armata. Molti insegnanti furono maltrattati, fatti segno di violenze fisiche e psicologiche dai loro stessi studenti, in una sorta di grande follia collettiva che, forse, sarebbe dovuta servire a normalizzare il controllo sul paese.
La figura di Lin Biao mi rimase dapprima alquanto confusa e le cose si chiarirono molto tempo dopo quando si inquadrò anche al sua morte, su un aereo che si schiantò in Mongolia mentre tentava la fuga in URSS.
Lin Biao era stato nominato successore di Mao e, invece, ma sparì in circostanze oscure e fu poi accusato di alto tradimento, addirittura di un complotto per assassinare Mao.

Risultato immagini per foto di Lin Biao
Lin Biao e Mao Zedong all’epoca della loro massima coesione

La fine della fase attiva della rivoluzione fu sancita dal IX Congresso del Partito Comunista Cinese (dal 1° al 24 aprile 1969), che designò Lin Biao come successore di Mao e diede importanti cariche politiche ai membri dell’Esercito di Liberazione, senza tuttavia rinnegare l’accaduto sul piano teorico. In realtà, la fine della Rivoluzione Culturale avvenne secondo molti critici, almeno di quelli che si espressero in quegli anni nelle interviste pubblicate, solo dopo la morte di Mao e l’arresto della “Banda dei quattro” nel 1976.
Molti anni dopo, siamo nel 1998, un film “L’angolo rosso” con Richard Gere e Bai Ling, di Jon Avnet, mi diede modo di un approfondimento in diretta. Un collega all’università, D.W., originario di Pechino, alla mia domanda: “Hai visto il film L’Angolo Rosso?“, mi rispose “…Certo!” e, al mio incalzare, ribatté dicendo “…Ma secondo te può essere vero? Non accadono simili cose in Cina…
Non mi convinse la sua risposta anche perché, molte delle cose mostrate nel film, trovavano conferma in articoli, paradossalmente, proprio dell’area di sinistra del Manifesto…

(2° – segue)

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