Tutti gli uomini del latitante. L’indegno circo mediatico attorno a Matteo Messina Denaro, il simbolo della malvagità, quasi fosse una “pop star”

Trent’anni sono tanti. In un trentennio se ne fanno di cose… . Dal 1618 al 1648 l’Europa fu straziata da una guerra iniziata con la defenestrazione di Praga, la prima e la seconda guerra mondiale durarono circa dieci anni e venti ne durò il periodo fascista, la medicina per tre decenni si è sviluppata migliorando la qualità della vita dell’uomo: è stata trovata una terapia per l’AIDS, l’epatite C è stata debellata, le cellule staminali stanno offrendo soluzioni impensabili per tante patologie che affliggono l’umanità.

Si effettuano trapianti incredibili, eppure un trentennio pare appena sufficiente per trovare Matteo Messina Denaro.

FU VERA GLORIA?

La citazione manzoniana calza a pennello al successo delle forze dell’ordine per la cattura di questo disperato: “fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”. Non voglio essere un disfattista in questo periodo di lodi sperticate e anche giuste, ma una domanda mi spunta impertinente: “e ci voleva tanto per prendere un delinquente?”. 

Il numero uno di “Cosa nostra”, l’imprendibile Primula Rossa della Mafia è risultato impermeabile alle ricerche per 10957.5 giorni, un’eternità. Un lasso di tempo durante il quale il mondo si è evoluto, è cambiato, ha scoperto e inventato velocemente. Questo è valso per tutti ma non per lui. Il tempo, per il nostro imprendibile mafioso s’è fermato.

Esecutore e mandante di centinaia di omicidi tra cui il povero Di Matteo, il bambino sciolto nell’acido, e le stragi di Capaci e via D’Amelio (Falcone e Borsellino per intenderci), il Nostro se ne andava in giro acquistando abiti di Armani, accessori di lusso (embè a lui piacevano ‘ste cose, sono soddisfazioni, altrimenti perché affannarsi tanto?), donne, viaggi. Insomma conduceva una bella vita e non se ne stava in un bunker a covare pizzini.

Di lui nessuno aveva contezza. Un miliardo di tracce in giro per il mondo ma nulla. Gli informatori sul libro paga della polizia e gli infiltrati non ne sapevano niente.

I R.I.S. , la potente polizia scientifica italiana (con quelli di Parma ci hanno fatto una testa così) brancolavano nel buio e tutto questo nell’epoca di C.S.I.

Trent’anni in cui il tizio viveva nel suo paesello, in quella piccola comunità dove “Nenti sacciu, nenti vitti e nenti vogghiu sapiri. Iu un c’era e si c’era dormiva e cu dormi nun vidi nenti”, un paese di zombie e pure assopiti.

INTERCETTAZIONI AMBIENTALI

Un argomento per il quale i vari governi che si sono succeduti e il Parlamento paiono essere particolarmente sensibili è quello delle intercettazioni ambientali. Ormai si ha la sensazione che non si possa più sollevare la cornetta del telefono senza che l’appuntato Esposito stia lì a registrare la nostra conversazione.

Chissà se tutto questo intercettare (tra l’altro costosissimo) diventa inutile, trova un magico schermo protettivo, quando si imbatte nel nostro mafioso. In trent’anni non s’è sentito di lui chessò, un chiacchiericcio sommesso, una “spifferata” magari inconsapevole. Decine di omicidi senza una traccia, una investigazione che potesse ricondurre a lui non solo come esecutore o mandante, ma anche come logistica: dove s’era acquartierato? Poi scopriamo che tutti sapevano che stava al suo paesello e al contempo, affascinante dicotomia, nessuno lo sapeva!

SOLO OMERTÀ?

In trent’anni nulla si è riuscito a scoprire riguardo la latitanza di un damerino (così dicono) che se ne andava in giro qua e là conducendo una bella vita.

Ce lo diciamo in un orecchio tra di noi? Possibile mai che una persona di tale pericolosità, dalle molteplici conoscenze, non avesse, mai, avuto modo, come dire? Ecco! Avesse avuto modo di fruire di qualche trascuratezza nella sua ricerca?

Naturalmente mi sbaglio, ci mancherebbe, però mi pare così difficile che in trent’anni si sia così totalmente “trasparenti” da non essere fisicamente rilevati da quel sistema giudiziario che, poi, è considerato uno dei migliori del mondo.

Il paese di Campobello di Mazara è un puntino sulla carta geografica italiana pure sbiadito. Poche anime che, alla fine, si conoscono tutte; orbene se anche il nostro “bravo” Matteo si fosse auto sepolto in un loculo nascosto nella sua abitazione o del fido prestanome Andrea Bonafede e da lì non fosse più uscito, volete che non se ne avesse avuto sentore nel paese? Che poi di covi, laggiù, ne han trovati tre ad oggi: aveva più sedi lui che la Pro Loco.

BONAFEDE, UOMO DI BONAFEDE

Spunta, dall’arresto di Messina Denaro, il nome di Bonafede, il suo prestanome, che si prodigava a tal punto per il mafioso da donargli la sua identità con la quale, a quanto pare, se ne andava in giro per il mondo. Anche costui, naturalmente, nulla sapeva e nulla sapevano sia paesani che inquirenti dei due Bonafede a zonzo per il piccolo comune. Così il geometra Andrea Bonafede divenne uomo di Andrea Bonafede, cioè collaboratore di sé stesso. Bisognerebbe appellarsi alle impronte digitali se ce ne fossero. Mi chiedo a quale gruppo di impronte appartengono quei documenti di identità? Del malvivente o del gromatico? Faccio una proposta: nel dubbio perché non mandare al 41 bis pure il generoso agrimensore?

NON CI ILLUDIAMO ROSARIA

All’arresto del Messina Denaro, Rosaria Costa, vedova di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta di Falcone uccisi nell’attentato di Capaci, ha dichiarato: “Se potessi gli chiederei da chi è stato tradito o se adesso sta male e ha paura di morire. Quando ammazzava gli altri e cancellava dalla terra il padre di mio figlio, non aveva paura della morte”. Non so se l’uomo sia stato tradito, non so se sia esistito un delatore, anche se la dichiarazione della donna lo farebbe supporre. Ritengo che un sociopatico come Matteo Messina Denaro mai proverà sentimenti. La quinta edizione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” definisce il disturbo antisociale della personalità come il costante disprezzo delle regole e delle norme sociali e la ripetuta violazione dei diritti delle altre persone. Queste caratteristiche si manifestano spesso come:

  • comportamento ingannevole o manipolativo a vantaggio personale;
  • comportamento criminale;
  • disprezzo per la sicurezza e le scelte degli altri;
  • azioni irresponsabili.

Tirate voi le conclusioni.

TOTÒ RIINA?  

Ci meravigliamo di Denaro, ma Totò ( o’ curto) Riina, capo, all’epoca, di “Cosa Nostra”  latitò per 24 (dicesi ventiquattro) anni. Pure nel suo caso nessuno sapeva nulla, informatori, intercettazioni, niente!

Ci pensò, dopo lunga pezza, il capitano Ultimo a capo dell’untà CRIMOR dei ROS a piazzarlo dietro alle sbarre. Fu talmente bravo il nostro ufficiale dei carabinieri che qualcuno disse: ”Capitàno, mio Capitàno sei troppo bravo meriti di più”. Una bella promozione e via, col grado di colonnello a fare il vice comandante del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente a Roma che non ci azzecca niente col suo operato ma che lo avrebbe dovuto rendere inoffensivo, ma la storia ci dice che così non fu: tanta capacità ed esperienza gettata al vento. Un po’ come prendere un bel cane da tartufo dal fiuto infallibile e metterlo a fare il cane guida per ciechi. Cose che càpitano, Capitàno! Alla fine perché importunare delle brave persone intente a stilar pizzini? Che male fanno?

LA GIOSTRA MEDIATICA

Vènghino siòri siòri, venghino alla giostra del crimine, altro giro altro morto e noi vendiamo, pubblichiamo, riempiamo i nostri contenuti multimediali. L’Informazione è impazzita! È di pochi giorni una intervista televisiva al comandante Alfa, ex RIS, sull’arresto del superlatitante. Chiaramente l’uomo si è presentato in video indossando un passamontagna per celare il suo volto ma… genialità della trasmissione, la voce non era stata dissimulata e come se non bastasse, il bravo conduttore ha sottolineato il nome del paese d’origine dell’intervistato: lo stesso del malvivente messo in custodia. Tanto valeva appendergli al collo un cartello col nome e cognome!! Possibile tanta disattenzione?

BOMBARDAMENTO MEDIATICO INCOSCIENTE

Una giostra mediatica folle che non si cura più dei danni collaterali procurati da una notizia, che pubblica intercettazioni avute chissà come coinvolgendo anche chi niente ha a che vedere con l’intercettato ma ha fatto l’errore di chiamare il suo numero telefonico.

Verbali coperti dal segreto giudiziario e sbandierati ai quattro venti. Giorni e giorni di celebrazione di malviventi i cui nomi meglio sarebbe stato obliare, dimenticare per sempre, condannare alla damnatio memoriae e invece no.

Delinquenti come Riina e il nostro Messina Denaro salgono sugli altari della cronaca che quasi si compiace dei loro efferati delitti, della loro invulnerabile latitanza.

Questo sarebbe il minore dei mali meno perché è anche esaltato il loro potere, la loro capacità di incutere terrore, quasi a stimolare una invidia malsana che, badate bene, potrebbe toccare qualche giovane e indurlo a procedere per quella via maledetta.

Ma non basta perché nella mente delle persone è anche instillato il dubbio su una effettiva incapacità delle forze dell’ordine perché, alla fine, ci son voluti più di cinquant’anni per catturare due delinquenti.

Una delle voci che è stata fatta girare all’arresto di Messina Denaro è stata che, forse, malato, si sarebbe lasciato catturare per essere, chessò, meglio curato, sottintendendo che solo per sua volontà è stato possibile catturarlo, altrimenti nemmeno lo Stato avrebbe potuto mettere in gabbia questa sorta di superuomo. Questa è comunicazione? Questa è colpevole piaggeria.

COMUNICAZIONE “INCAUTA”

Forse taluni che tristemente compongono una larga fetta della comunicazione nostrana non si rendono conto del continuo danno che stanno facendo. Non voglio, con questo, negare il diritto d’informazione, ma tutto ha un limite ed esaltare la notizia con un martellamento così compulsivo fa pensare ad altro… .

Rispose una volta l’inossidabile Andreotti alla domanda se esistessero deputati mafiosi: “no, esistono mafiosi deputati” e visto tutto questo spropositato fracasso, verrebbe da porsi la stessa domanda, ma con modalità diverse.

Il sistema mediatico divulga a gran voce registrazioni telefoniche o trascrizioni delle stesse che dovrebbero godere della riservatezza. Se ben rammento esiste a riguardo un reato che si chiama “violazione del segreto epistolare” al quale afferiscono anche le conversazioni telefoniche. L’art. 15 Cost. recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Ma qui tutto è divulgato e tutto impunemente, manco lo facessero apposta.

I GIORNALISTI UCCISI DALLA MAFIA

Nella storia del giornalismo nostrano sono iscritti diversi reporter trucidati dalla malavita e voglio ricordarli: Beppe Alfano, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Pippo Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giovanni Spampinato, Giancarlo Siani.

Vien da pensare che probabilmente non erano allineati, pertanto ritenuti incontrollabili dalla criminalità, chissà…

Erano, forse, pericolosi per la malavita organizzata alla stregua di Falcone, Borsellino e il generale Dalla Chiesa mentre gli altri no?

Queste le considerazioni che mi vengono in mente dal giorno in cui un mafioso si presentò, al carabiniere dei ROS che lo stava arrestando, con la frase: ” Mi chiamo Matteo Messina Denaro” e qui ci sta bene un “Minchia signor tenente” come nella canzone del compianto Giorgio Faletti.

Termino con un pensiero: in quali sabbie mobili si dimena la giustizia italiana? Quali pastoie la avvinghiano tanto da rallentare fortemente la sua opera?

Ma soprattutto, quali e quanti media realizzano articoli e servizi quantomeno senza comprenderne le implicazioni o pubblicano solo per “far cassetta”? Un saluto.