Un Cioccolatino Storico. «Locus Avezzani, qui fuit constructus ab illustri familia Ursina» storia della chiesa di San Giovanni vista tramite gli scritti dello storico avezzanese Bernardino Jatosti

AVEZZANO- Carissimi lettori un caloroso benvenuto al settimanale appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. La storia che oggi ci piacerebbe raccontarvi parlerà di uno degli edifici religiosi della città di Avezzano, ovvero la parrocchia di San Giovanni. Ma questa volta non saremo noi nel raccontarvi la sua storia ma bensì uno storico avezzanese di nome Bernardino Jatosti che nel 1871 pubblicò “La Storia di Avezzano” pensate che tale libro venne edito ad Avezzano dalla Tipografia Marsicana di V.Magagnini.
Scommettiamo che parecchi marsicani non conoscono questo importante studioso anche se, parecchie volte, hanno percorso Via Bernardino Jatosti (che si trova nei pressi di Via XX Settembre) ad Avezzano. Oggi lo vogliamo riscoprire riportando alcuni frammenti inerenti al suo racconto sull’origine della Chiesa parrocchiale di San Giovanni. Ma vediamo cosa ci racconta Jatosti, ah abbiamo deciso di lasciare lo scritto nella lingua italiana dell’epoca:

“Nel 1362 già esisteva l’antica Chiesa di S. Francesco. Ne fanno fede due lapidi sepolcrali, in basso rilievo sulle quali si veggono le figure di due Cavalieri in abito completo dell’ordine, a cui appartenevano. Nell’una si leggono scritte queste parole: «Hic jacet D. Robertus Caraphius De Capua Miles. Ann. Domin. MCCCLXII.» e vi è scolpito lo stemma della famiglia Caraffa: nell’altra vi si legge: «Anno Dom. MCCCLXlll Hic jacet Miles Joann. Pon», e nell’arma si notano cinque monti e due rose. Una vecchia cronaca, conservata in pessimo manoscritto dai Signori Aloisi, e da me letta, porta (non saprei su qual fondamento) essere ivi sepolti due nobili Capi di milizia morti in occasione della peste della Città di Alba. Io aggiungo poca fede a questo racconto, e solo suppongo, che quei monumenti siano stati destinati ad eternare la ricordanza di qualche impresa fatta, o di qualche carica distinta da quei defuti occupata in Avezzano; giacchè non trovo plausibile motivo per giustificare la traslazione delle loro ceneri, o dei loro cadaveri da Alba (che pure aveva le sue Chiese) in quella stazione, nella quale sono coperti dalle lapidi riportate di sopra”.
Fatta questa premessa poi aggiunge:
“Il Tempio però non era quello, che attualmente accoglie i fedeli alla preghiera; ma in vece non presentava che una piccola Chiesa, alquanto angusta, attaccata al campanile, e sormontata da una volta semigotica male arcuata. Ora quell’antico fabbricato è diviso in due sezioni da un muro. La parte verso il sud se l’ebbero i PP. Conventuali, che l’addissero all’uso di Sagrestia; la parte verso il nord fu data in cambio di una casetta ai fratelli della Congregazione di S. Giovanni Decollato, che ne fecero addizione alla loro Cappella adjacente. La chiesa che presentamente si eleva in belle, e vaste proporzioni con facciata di pietre a scalpello, fu edificata negli anni 1718 al 1742, e fu dedicata a S. Francesco di Asisi. Il suo fronte guarda all’est, ed ha in prospetto il grandioso stallaggio dei Colonnesi capiente almeno di 120 cavalli”.

Molto più interessante è la descrizione “artistica” che fa nel frammento che vi stiamo per proporvi:
“La fignra interna è di una croce, ed è sormontata da una cupola corrispondente. L’Altar maggiore è staccato dalla parete, e dietro a questo trovasi un bel coro, costruito di legno nel 1847. Sul medesimo si veggono tre grandi quadri sormontati dallo stemma del l’ordine Francescano. I conoscitori della partita attribuiscono qualche valare solo a quello situato nel mezzo. Quattro Cappelle decorano l’uno e l’altro lato del Tempio; e sono di juspadronato delle più antiche famiglie della Città. Le due principali abbellite di lavoro a stucco furono erette dai Signori Minicucci, e Milone. Tutte hanno l’appendice di un sepolcro gentilizio. Sulla porta d’ingresso è locato un’organo a completa strumentatura: la volta, e gli ornati sono ricchi di dorature, e dipinti, come in corrispondenza lo sono le due sudette Cappelle, una dedicata alla Concezione di Maria SS., e l’altra a S. Giuseppe, In questa riposto in bella urna, e messo a pubblica venerazione fu dal P. Francescantonio Parcari di Avezzano il corpo di S. Giustino Martire nel 22 Novembre 1721, quando la Chiesa era ancora in completa. Siccome ai lati dell’Altare-maggiore, e sull’ingresso del Convento scorgesi l’arma de Colonnesi, deve ritenersi, che tanto costoro; quanto i proprietari delle cappelle, molto contribuissero all’inalzamento dell’intero edificio”.
Parlando del celebre campanile della parrocchia di San Giovanni afferma:
“ll campanile per due volte ebbe il vertice abbattuto dal fulmine: la prima volta fu restaurato a spese di quei Religiosi: dopo la seconda rimase per molti così vergognosamente decimato; ora il guasto è di bel nuovo riparato”.

Jatosti, riprendendo ciò che scrissero celebri storici marsicani afferma:
Come rilevasi dal Febonio, e dal Corsignani, cominciò a fabbricarsi al tempo dell’Orsini, il quale soperì ad una parte delle spese di prima costruzione. Ciò asserisce con maggior precisione il Ridolfi, (Istoria Sera fica L. 2. pag. 277) il quale scrive così: «Locus Avezzani, qui fuit constructus ab illustri familia Ursina». Il portico d’ingresso non doveva avere nella sua prima costruzione altre porte, le quali dassero adito ai magazzini resi attualmente praticabili; perchè vedesi aver queste frasta gliato vandalicamente gli affreschi, che vi erano dipinti a spese delle diverse famiglie, dalle quali portano sopraposto lo stemma, e che rappresentano i fatti più attendibili della vita del Serafico Patriarca.
Altre migliorie all’antica chiesa:
“Fu demolita la vecchia scala, che al piano superiore immetteva, ed un’altra di bella, e simpatica forma se ne costruiva, che immediatamente introduce a tale ampio salone, che forse non vi ha l’eguale nei palaggi dei più nobili, e ricchi cittadini. I corridoi sono lunghi, ed ariosi; le celle dei frati spaziose, e decenti, e la biblioteca non dispregevole. Delizioso è anche il murato giardino; e larga, e co moda la corte del pollame. L’intero fabbricato gode dell’isolamento, e per conseguenza ha prospettiva da tre lati, essendo dalla Chiesa, cui il quarto è annesso, difeso, e garantito dalla parte del nord dal freddo soffio dei venti settentrionali.–Cospicue erano le sue rendite in Avezzano; ma più grande era il provvento, che i PP, ritraevano dai beni di Alba, e di Popoli; poichè in quest’ultimo riscuotevano il prodotto dei fondi rustici, e delle fabbriche ap partenute al soppresso convento dei Francescani, che in quel paese esisteva”.

Lo storico Jatosti, perendosi un po’ nella descrizione di San Pietro in Albe (e lo fa in maniera pressoché perfetta) torna nei suoi passi e prosegue la descrizione delle ultime fasi della chiesa di San Giovanni scrivendo che:
“Tornando ad occuparci del Convento di Avezzano, sa ognuno, che due volte è stato soppresso. La prima volta nel 1809; ed allora tutt’i beni ad esso appartenenti furono a vile prezzo venduti. Fu ripristinato nel 1819, ed il Governo gli fece una donazione equivalente, e forse superiore alla perduta. Al Comune di Avezzano si era fatto assegna del Convento, e questo vi aveva allocata la Sottintendenza. I RR. PP (Reverendi Padri), e più di tutti fra essi il dottissimo cittadino P. Bonaventura Lolli, tanto insisterono, che il Municipio a loro lo retrocesse, con deliberazione Decurionale dell’anno stesso, dietro la promessa fattagli di aprire al pubblico una scuola gratuita, e di pagargli per una sola volta ducati 600. Ma, rientrati nel possesso, negarono ogni patto, e la loro infedeltà ha ricevuto il meritato castigo. L’ordine fu di nuovo soppresso con decreto del 17 Febbraio 1861, e le rendite si esigerono dal Governo fino a che i fondi fossero all’asta pubblica venduti. I PP. Francescani pagavano di sola imposta fondiaria ducati 300 annui fra Avezzano, Alba, e Popoli! […] Il Governo dispose, facendo pieno dritto alla inchiesta, che il Convento andasse a gravi ammende soggetto in caso di non sollecita adempimento alle dimande giustissime di quei popolani. Così il Cenobio tornò ad essere abitato, eseguite le urgenti riparazioni. Ma nell’effettuirle non sò quale genio malefico indusse il Direttore dell’opera a cancellare con imbiancatura tutti gli affreschi nel Tempio dipinti, i quali contavano una data alla costruzione di esso contempo. – Se da S. Pietro, Titolare di quel Santuario, fù perdonato questo atto di vandalica barbarie aglì autori del sacrilegio, in grazia della loro crassa ignoranza, gli uomini (e fra essi a più buon dritto lo storico) non devono, e non possono senza dispiacere, ed indignazione rammentarlo”.
Un Abbraccio Storico