Un Cioccolatino Storico. “Tra Angizia e San Domenico Abate”, la storia della Festa dei Serpari a Cocullo

COCULLO – Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti al secondo appuntamento settimanale con i racconti del Cioccolatino Storico.

La storia che oggi ci piacerebbe raccontarvi parlerà di sacro e profano, di fede e natura e di grande curiosità e devozione: insomma, vi racconteremo la storia della Festa dei Serpari a Cocullo.

Thomas Ashby, Cocullo (AQ) 1909 – Festa di San Domenico – (Foto web)

Ogni 1° di maggio (data che è stata istituzionalizzata negli anni ’60 del secolo passato) a Cocullo si riversano moltissime persone per prender parte ad una delle feste più antiche ed enigmatiche d’Abruzzo: festa dedicata all’abate Domenico da Foligno e conosciuta come la “Festa dei Serpari”.

Però, prima di arrivare al 1° di maggio, gli abitati vanno (di solito si fa nel mese di marzo) vanno alla ricerca dei serpenti che saranno protagonisti di tale evento.

Ma quali sono i serpenti che vengono presi? Innazitutto sono tutti serpenti non velenosi ed appartengono a quattro specie: la biscia dal collare, il biacco, il saettone e il cervone.

Questi serpenti verranno trattati come ospiti importanti e nutriti per una ventina di giorni con diversi cibi, e alla fine della festa, verranno nuovamente liberati in natura.

La Statua del santo in processione – (foto web)

Sull’origine di tale festa antropologi e storici sono ancora lontani da una linea comune di pensiero: c’è chi parla di una “discendenza” diretta dal culto di Angizia (la dea dei Marsi) mentre altri pensano che tra il culto della Dea e la festa cristiana passino molti secoli e quindi non può derivare da essa.

Per farvela breve, oggi vi racconteremo la storia che ci è stata tramandata, ovvero quella della discendenza pagana.

La presunta statua di Angizia – (foto web)

Il poeta latino Silio Italico, nella sua opera “Punicae” (libro VIII) così descriveva la Dea Angizia: “Angitia, figlia di Eeta, per prima scoprì le male erbe, così dicono, e maneggiava da padrona i veleni e traeva giù la luna dal cielo; con le grida i fiumi tratteneva e, chiamandole, spogliava i monti delle selve”.

In questo frammento c’è una buon collegamento con la festa dei serpari: le popolazioni marse, peligne e di altre etnie invocavano tale dea con sia da un punto di vista curativo (pensiamo all’uso delle erbe e alla protezione contro i morsi stessi dei serpenti), come dea della fertilità (in particolar modo tra i Sanniti) oppure come Ἡ Πότνια Θηρῶν (Potnia theròn) ovvero “Signora degli animali” ricollegandosi ad Omero.

La statua di San Domenico – (Foto web)

Con l’avvento del cristianesimo molti culti cambiarono ed altri vennero assorbiti ad esso, e tale festa ne è una riprova.

Attorno all’anno 1000 un monaco di Foligno di nome Domenico iniziò la sua predicazione in Abruzzo e passò anche a Cocullo e Villalago: in quelle terre fondò monasteri e luoghi di culto.

Per ben sette anni San Domenico si fermò a Cocullo, lasciando un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, divenute delle reliquie.

Una volta morto il monaco santo, in quelle terre si sviluppò il suo culto: culto che veniva invocato contro il mal di denti, i rettili vari e – badate bene- anche contro il morso dei serpenti velenosi, ergo un chiaro richiamo al passato pagano.

Il Santuario di San Domenico- (Foto Web)

Infatti, oltre nello stigmatizzare la paura dei serpenti (indossandoli, toccandoli etc) durante tale festa – di solito lo si fa la mattina stessa della ricorrenza- nella chiesa dedicata al Santo monaco i fedeli tirano con i denti una catenella per mantenere i denti stessi in buona salute e poi si mettono in fila per raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del santo.

L‘archeologo britannico Thomas Ashby – (Foto Web)

E per concludere questa avvincente storia ci piacerebbe condividere con voi ciò che scrisse il celebre archeologo britannico Thomas Ashby – che tra il 1901 ed il 1923 compì viaggi in Abruzzo, e se ne innamorò follemente – sulla Festa di San Domenico a Cocullo:

“Sebbene la Madonna delle Grazie abbia in questo giorno la sua piccola processione, ci sono pellegrini che preferiscono adunarsi nel santuario di San Domenico. La singolare cappella del santo si trova nel transetto meridionale della chiesa che porta il suo nome. Durante la messa solenne il prete prende dall’altare una corta sbarra di ferro, a cui è attaccato un oggetto ricurvo. È la sacra reliquia di San Domenico: un ferro del mulo sul quale, un giorno memorabile, egli arrivò a Cocullo. Davanti la cappella uno strano gruppo di uomini, donne e bambini con i cani, il prete si avvicina e posa a turno su di loro, con reverenza, l’amata reliquia. Un signore mi disse “adesso i miei cani non avranno mai la rabbia, sono protetti dal Santo benedetto. E nessun lupo li ucciderà.

Questo cane, aggiunge accarezzando il suo animale, che ringhia sospettoso, di lupi ne ha uccisi parecchi, dalle mie parti”. Il mercoledì e la notte seguente ci sono grandi battute sui monti intorno a Cocullo, perché l’indomani, culmine della festa, esige offerte che queste aride pendici possono fornire in abbondanza. La virtù del Santo si manifesta soprattutto nel potere che egli ha sul serpente velenoso, l’altro nemico del montanaro. Il serpente e il suo veleno, il cacciatore di serpenti, il serparo, l’artefice di filtri, la strega, e tutti gli esperti di cose arcane e micidiali sono da tempo immemorabile di casa nella Marsica, e Cuculum è stata sempre terra dei Marsi. La mattina del giovedì numerosi serpari portano, o per meglio indossano, i serpenti vivi che fra poco saranno offerti a San Domenico. Un uomo ha un grosso sacco di pelle, con la bocca serrata da cinghie e i fianchi che si agitano paurosamente, mentre al braccio sinistro tiene arrotolata una serpe gialla e nera dall’aria maligna, lunga non meno di due metri e mezzo. Entro nella chiesa, scura e fresca in questa giornata cocente.

La folla è densa sembra impossibile penetrare nella calca … la statua del santo erge nella luce, ed è circondato dai serpari. Uno ad uno gettano alla statua le loro strane offerte. Impauriti, i serpenti si attorcigliano al collo del santo, alle braccia, ai suoi piedi; infilano la testa attraverso l’aureola metallica, dardeggiando le lingue biforcute; formano una ghirlanda intorno alla croce. La folla prorompe in preghiere e invocazioni.

Al santo vengono offerte serpi; si cantano litanie, si invoca la sua benedizione sui pascoli e le greggi, sugli alberi spogli e sul grano che cresce. Sono convinto che, questa strana cerimonia abbia radici nella storia remota delle genti marsicane, inclini alla superstizione ed a oscuri timori. San Domenico, si potrebbe dire, è l’apostolo della libertà spirituale: del sollievo dalla tirannia del terrore suscitato dalle forze più insidiose del male e della morte in agguato sui monti. A ciò si mescola senza dubbio qualche traccia dell’antico simbolismo del serpente come segno di guarigione”.

Un Abbraccio Storico

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