Un gabbiano al… Conclave: la storia, un pò favola e un po’ realtà, del pennuto divenuto una star e che ha strappato il palcoscenico al nuovo Papa

Questa è la storia di Peppe Gabbiano, il volatile diventato famoso perché inquadrato assieme alla sua famiglia sul comignolo della Cappella Sistina il giorno della fumata bianca.

Peppe era un volatile romano che discendeva da nobili lombi. La madre era Kengah. Lo scrittore cileno Luis Sepúlveda narrò la sua storia nel racconto “Storia di una gabbianella”.

Il padre, di origine americana, era Jonathan Livingstone. Anche lui assurse agli onori della carta stampata grazie alle sue gesta narrate dello scrittore Robert Bach. Insomma mezzo latino e mezzo americano un po’ come Papa Leone XIV.

I due uccelli si innamorarono e decisero di costruire il loro nido nel Vecchio Continente,

Si imbarcarono di straforo su un cargo battente bandiera liberiana (un po’ come Verdone) alla volta dell’Italia.

Due gabbiani espatriano con facilità; non hanno necessità di passaporto o di biglietto: si appollaiano da qualche parte su una nave e chi li caccia? In quanto a cibo, poi, l’oceano è pieno di pesci.

Per portare a termine il loro sogno d’amore scelsero la foce del Tevere a Roma, in quella zona che si chiama idroscalo e che è ricca di bilance da pesca attaccate a delle capanne su palafitte.

Un posto romantico, ricco di pesce di mare e di fiume e di pescatori a cui soffiare il cibo a volo radente.

Fecero il nido vicino alla chiesetta della Madonna dell’idroscalo e tirarono su un bel pargoletto. Da una mamma che non aveva paura dei gatti e un padre temerario, che abitavano all’ idroscalo, cosa poteva saltar fuori? Un gabbiano coatto che a differenza degli altri indossava una canotta arrotolata sulla pancia, una pesante catena d’oro al collo e lo stuzzicadente al lato del becco; unico cruccio: non aveva un ombelico da mostrare! Quando incontrava un altro gabbiano non garriva per salutarlo come facevano gli altri ma gli diceva: ”Ciao bro’”.

Fin da… uovo Peppe sognava di diventare qualcuno, di farsi notare e così decise di trasferirsi in qualche parte della Capitale che offrisse maggiori opportunità e l’occasione di crescere culturalmente. Si stabilì nel centro storico dell’Urbe, nei pressi di Castel Sant’Angelo. La vista di tutte quelle statue alate sul ponte, proprio davanti a quella antica mole, gli aveva fatto pensare che i gabbiani, lì, erano ben accolti.

Era nel cuore della Città Eterna, anzi dentro la Roma Papalina. Risalendo a volo il ponte che unisce Castel Sant’Angelo al Vaticano, il Passetto, giungeva a un passo dalla Piazza che con il suo colonnato pareva una enorme tenaglia con un chiodo tra le ganasce aperte. Poca poesia, ma son ragionamenti da gabbiani.

Come s’è detto il Nostro era un “romano de’ Roma”. Forte di questo zampettava impettito per le vie del centro col suo stuzzicadenti al lato del becco e con un’aria di sfida che intimoriva persino i sorci del Tevere.

Se ne andava con gli amici a fare bisboccia a Campo de’ fiori, vicino alla statua di Giordano Bruno, godendosi gli avanzi del mercato e sbronzandosi con qualche mezza lattina di birra abbandonata sul marciapiedi.

Lì c’era ll bar del Cormorano che, non era un bar come lo consciamo noi, ma uno spiazzo su una vecchia palazzina dove andavano a chiacchierare tutti i volatili.

I suoi amici erano tre: Nando er Puzza, un tipo che si offendeva facilmente (in romanesco “annava in puzza”), Cencio l’accattone che raccoglieva da terra tutto quello che brillava manco fosse una gazza ed era nato nel deposito di un robivecchi. L’ultimo e il più colto Nando era soprannominato “er professore” perché conosceva tutti i monumenti della Capitale. Non c’era, al centro storico, capitello, statua o arco che non aveva benedetto col suo guano. Un giorno Peppe disse: “Raga io diventerò famoso e tutti me guarderanno“. Lì per lì i tre non gli diedero ascolto ma quella fu una profezia.

Ogni tanto acchiappava la compagna e con lei, giù, si infilava tra i ristorantini del Pantheon dicendole: ”Oggi te porto a magnà ar centro, ciò voja de robba bbona

Detto questo lo vedevi becchettare per terra vicino ai tavolini di “Er Faciolaro” o da “La Rosetta”.

Il caffè lo prendeva a Piazza Sant’Eustachio come ogni romano che si rispetti, pilluccando qualche briciola di cornetto sul selciato o bagnando il becco nei bicchierini da caffè di carta abbandonati qua e là per la strada secondo l’usanza capitolina.

La religione non era il suo forte. Intuiva che qualcuno aveva creato il cielo nel quale si librava, l’immondizia della quale si nutriva e l’acqua che beveva dalle mille fontane e fontanelle di Roma ma da qui a capire cosa è un papa ce ne voleva.

L’otto maggio Peppe Gabbiano notò quel nuovo comignolo sul tetto della Cappella Sistina. Per i volatili i giorni non hanno senso, loro si affidano al ritmo circadiano. Riconoscono le stagioni, sanno quando dormire o mangiare e tanto gli basta. Quel giorno per lui era uno dei tanti, invece ebbe luogo la storica fumata.

Se ne era andato con la famigliola là, sul tetto della Cappella Sistina dove era spuntato quel comignolo nuovo, incuriosito. Che era quella specie di fungo? Ci si appollaiò sopra e notò che là sotto stavano tutti col naso all’insù a guardare proprio nella sua direzione.

Il borgataro che era in lui prese il sopravvento: “Ahò che ciavete da guardà? Questa è mi’ moje e questo mi’ fijo!”. Mentre stava in cima al comignolo fu all’improvviso avvolto da uno sbuffo di fumo bianco “Ma che cazz… succede? Che se stanno a coce?”

Guardò giù e la folla strillava impazzita, applaudiva, cantava. “Ma che je faccio ‘st’effetto alla gente?” pensò tra sè gongolando. Dopo un po’ s’aprì la porta d’un balcone e un tizio e appresso a lui un altro, comparvero sorridendo alla folla.

Assuntì viè a vede che succede” gridò alla moglie che si chiamava Assunta” ce stà uno vestito da supereroe e tutti che je batteno le mano”
A’ Peppe ma che te sei ‘mbriacato? Un supereroe qua? Ma che fa vola?”
“no, me pare de no”
“Arza li macigni? S’arrampica sui muri?”
“None Assuntì”’ none”

“e allora che supereroe è?”
“nun lo so, er vestito ce l’ha e ppoi so’ tutti contenti tranne quarcuno cor vestito rosso boh!…”

Il giorno dopo alcuni uomini rapirono Peppe e lo portarono in uno studio televisivo, da Fabio Fazio che lo intervistò in esclusiva.

Il nostro “Letterman dei poveri” chiese al gabbiano mille cose: come mai stava proprio su quel comignolo, come faceva a mantenere la famiglia, che lavoro faceva e che ne pensava dello scisma di Lefebvre. Un vescovo che era stato invitato alla trasmissione disse: “certamente lo Spirito Santo s’è incarnato in lui. D’altronde il gabbiano è simbolo di luce! Ricordo che nel 2013, prima della fumata bianca per Papa Francesco, un gabbiano si posò proprio lì. Coincidenza? Nossignore! Si tratta d’un segno divino
Un altro disse: “bisogna impagliarlo e metterlo tra i tesori vaticani!
“si, si dissero tutti


Beppe Severgnini che era stato invitato in qualità di opinionista raccolse i suoi pensieri ed esclamò con impeto :”se stava sul comignolo c’è volato!“e svenne per lo sforzo mentale. ll gorno successivo Fazio ricevette messaggi da alcuni medium che asserivano di essere stati contattati dal signore de La Palice che si congratulava con Severgnini per l’acutezza della sua osservazione.

Ora Peppe è nella sala dei tesori vaticani, bello impettito e impagliato, tra un ostensorio d’oro e un Crocefisso del settecento. Alla fine , come desiderava da giovane, trovò il modo di farsi notare: il suo destino si era compiuto!

Assunta, rimasta sola, diceva a tutti con orgoglio: “Mi’ marito è diventato importante: lo ammirano tutti“, mentre i tre amici dicevano tra loro: “Ammirato in quel modo? Meglio morto!” e infatti così era.

Morale: “meglio essere odiato per ciò che si è, piuttosto che essere amato per ciò che non si è” ma soprattutto: “se ti fuma un comignolo sotto i piedi che cavolo rimani a fare là sopra?” .

Un saluto
LEO VITO