Una valanga d’Amore: storia di una madre e di un figlio “sbagliato”

Rimasi in silenzio assoluto, mentre la donna che avevo di fronte si raccontava

Era uno dei miei soliti giorni impegnati, un cliente dietro l’altro, l’attenzione massima a non sforare con il tempo per non far aspettare nessuno e per non tardare troppo al mio rientro.

Concentrata dietro la mia scrivania, accennai un sorriso e la feci accomodare;

misi a posto alcuni fogli e spesi una manciata di secondi davanti allo schermo del computer prima di alzare gli occhi e incontrare il viso della donna: “Buongiorno…ehm Nicoletta giusto?”

Una nuova paziente di uno sportello medico ospedaliero che ne vedeva passare a decine al giorno.

“Cosa posso fare per lei” dissi con quel sentore di routine che si celava con  sempre più difficoltà man mano che la giornata proseguiva.

Seguì un minuto di silenzio inconsueto per la frenesia di quel posto, provai a non incalzare la domanda e alzai gli occhi sui suoi;

avrà avuto una cinquantina d’anni, i capelli castani si distribuivano a ciocche disordinate sulla testa, malamente tinti per coprire un incanutimento ormai iniziato, nessuna traccia di trucco, l’espressione del viso fusa a metà tra la rabbia e la disperazione, gli occhi vistosamente arrossati e stanchi mi guardavano fissi in cerca di una conferma, le labbra stese, a guadare l’orizzonte del suo viso:

“Non dormo, da mesi ormai, non riesco a dormire se non per un’ora o due”.

Rovistò in una vecchia borsa di pelle consumata e ne fece uscire varie confezioni di farmaci: “Ecco, le prendo tutte ma non funzionano più”.

Si trattava di farmaci alquanto forti e che, in linea di massima, avrebbero steso a terra chiunque.

“Capisco” dissi abbassando un attimo lo sguardo in cerca di una soluzione veloce alla cosa, ma non la trovai.

Avrei potuto o forse dovuto inserirla in lista d’attesa per una visita con un neurologo e mi sarei liberata velocemente di quegli occhi stanchi e arrabbiati che mi inquisivano, ma decisi di chiedere qualcosa di più:

“Perché Nicoletta, che cosa la tiene sveglia?”

L’espressione si tese ancora di più e sputò letteralmente “il rospo” in cerca di una  condanna per qualcuno e della sua assoluzione:

“Mio figlio di 20 anni, non fa nulla, è uscito l’anno scorso dalla scuola e deve ancora trovare lavoro; ciondola dal letto al divano, mangia e lascia le cose in giro, nessun rispetto per chi pulisce e riordina che poi sarei io, suo padre a volte lo difende e non mi aiuta mai, i soldi che gli diamo li spende in birre con gli amici,  la sua camera è un porcile e se provo ad entrare e a riordinare mi insulta, non dice dove va e cosa fa.

A volte rientra a notte fonda, a volte proprio non rientra e non dice niente a nessuno.

So che è mio figlio, ma io a volte arrivo ad odiarlo”

Mi alzai allora dalla sedia e andai a chiudere la porta del mio piccolo ufficio, decisi di sedermi sulla sedia di fianco a Nicoletta anziché dall’altra parte della barricata e le presi le mani; la sua espressione cambiò leggermente, ma non si ammorbidì:

“Nicoletta, ha mai chiesto a suo figlio perché si comporta così?”

Lei rifletté un paio di secondi poi rispose:

“Certo che sì, non sa quante volte gli urlo perché ci fa questo, perché non si trova  un lavoro, perché non pulisce e porta rispetto, ormai è tutto uno sbraitare e sbattere porte e finisce ad insulti sempre”.

“Ok“ dissi, cercando di mettere una distanza tra la sua rabbia e il cuore del problema.

Non feci in tempo ad aggiungere altro che Nicoletta ripartì nel suo sfogo e andò a toccare il punto cruciale:

“Io non mi sono mai permessa di comportarmi in quel modo, sono andata a pulire scale a 16 anni e portavo a casa i soldi a mia madre, eravamo in 3 fratelli e mio padre faceva l’operaio.

Se chiedevo qualcosa in più mi arrivava uno scappellotto sulla testa e mi dicevano di andare a lavorare, che a divertirmi ci avrei pensato quando sarei stata una Signora, altro che i giovani di adesso, non si fiatava altrimenti erano…insulti…e botte”, rallentò l’eloquio iniziando a capire quello che stava accadendo: stava ripetendo lo stesso schema con suo figlio e non se n’era mai resa conto.

Lei per prima non era stata rispettata e amata per quelli che erano i suoi bisogni, ma le era stato imposto uno schema comportamentale che la allontanava da se stessa;

ci si aspettava da lei, come dagli altri figli, uno standard precostituito frutto di una società che, così facendo, riusciva ad imporre un controllo sistemico dedito al dovere e mai al piacere;

perché il piacere non va d’accordo con le regole e soprattutto si avvicina d una fonte di energia potente e infallibile: l’Amore:

“Nicoletta” dissi, “ti sei mai sentita veramente amata e rispettata da piccola?”

Lei abbassò lo sguardo e il dolore cadde dai suoi occhi nella trasparenza umida delle sue lacrime:

“No” disse.

“Riesci ad amare te stessa, ti prendi cura di te per prima? Ti rispetti?”

“Non so nemmeno cosa significhino esattamente le cose che mi sta dicendo, non so come si fa, io lavoro dalla mattina alla sera e vorrei solo un po’ di rispetto a casa”.

Le sorrisi dolcemente e aggiunsi:

“Come Nicoletta se tu per prima non ti rispetti e non ti vuoi bene? Hai mai pensato che forse tuo figlio prova le stesse cose che hai provato tu?

Forse anche lui non si sente rispettato e compreso nei suoi bisogni e allora ti restituisce l’immagine che tu hai di lui, fedelmente.

Se tu hai di lui l’immagine del fallito, lui non potrà fare altro che adeguarsi a questa identità, se non sente il rispetto non potrà rispettarti.

Ti è mai venuto il dubbio che tuo figlio ti sta solo chiedendo di amarti e amarlo, così, senza un perché ma solo perché esiste nella sua unicità?”.

Mi fermai, non era più necessario aggiungere altro, il viso di Nicoletta, ormai rigato di lacrime, aveva perso rabbia e indignazione lasciando il posto alla commozione per se stessa e per suo figlio.

Cercò un fazzoletto nella borsa e si strofinò gli occhi ormai ridotti a due fessure infuocate:

“Lei dice che è davvero così semplice?”

La voce arroccata dal pianto, mi avvicinai e le strinsi le spalle con le mani:

“Sì” dissi.

“Ora vai a casa Nicoletta e parla a tuo figlio con il cuore, nessun giudizio né per te né per lui, solo ciò che senti, digli il perché tu sei così preoccupata per lui.

Ricorda Nicoletta che la chiave unica per risolvere e guarire qualsiasi problema  è proprio l’Amore in tutte le sue forme”.

Dott.ssa Elisabetta Camporese

Dott.ssa Elisabetta Camporese

Medico Chirurgo, Specialista in Psico Neuro Endocrino Immunologia (PNEI), Medicina Sistemica e Cannabis terapia.

Si riceve online e nelle città di: Milano, Padova, Olbia

Per informazioni scrivere a cmc.studio2021@gmail.com

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