Spigolature romane. Da grandi artisti equivocati, ai miracoli e fino alla Bocca della Verità

Visto Il periodo cupo che stiamo attraversando voglio proporvi alcune “spigolature” romane che, spero, alleggeriscano la tensione di questi tempi. Sono argomenti in ordine sparso, quasi delle curiosità. Vogliamo iniziare “spigolando” sui sacri edifici romani e su quanto contengono?

Sembra strano ma alcune chiese della Capitale sono state ricettacolo di quello che è stato definito “erotismo religioso”. In realtà non sono raffigurazioni volutamente morbose e nulla hanno a che fare col sesso ma che, nei tempi, hanno dato adito a reazioni vagamente intolleranti. Naturalmente si parla di artisti del calibro di Bernini la cui arte è indiscussa.

A Roma c’è una chiesa che si chiama Sant’Isidoro degli irlandesi, vicino a Via Capo Le Case. Al suo interno una cappella progettata dal Bernini e che è stata oggetto di scandalo: la Cappella Da Sylva. Nel corso dei restauri della chiesa nel 2002 fu scoperto un vero e proprio caso di censura che la riguardava. Di cosa si tratta? Pietra dello scandalo sono le raffigurazioni  di due Virtù: la Carità e la Pace. L’artista, Giulio Cartari, le aveva ideate in marmo, con i seni un po’ troppo ubertosi; anzi, la Carità pare offrire, sorridendo, all’osservatore il latte che spreme dal suo seno con entrambe le mani! I sacerdoti della chiesa probabilmente considerarono troppo provocanti quelle fanciulle prosperose e quindi pensarono bene di avvitarci sopra delle camicie in bronzo dipinto. La cosa pare fosse anche diventata, anticamente, oggetto di mercimonio da parte dei sacrestani che (ti pareva?), dietro elargizione di una mancia, svitavano le vesti bronzee dalle statue per mostrare quello che c’era sotto. Oggi, a restauro fatto, l’”incamiciatura” è stata definitivamente eliminata, restituendo alle opere la loro originale nudità.

Non finisce qui perché anche i Santi sono stati oggetto di una qualche raffigurazione considerata non proprio ortodossa e mi riferisco al gruppo statuario dell’”Estasi di Santa Teresa”, detta anche, da chi parla bene,  “Transverberazione di S. Teresa d’Avila”

Nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, visitando la Cappella Cornaro, troviamo questo capolavoro del Bernini. Il corpo della santa è in un totale abbandono, gli occhi riversi al cielo quasi sperimentando l’esperienza di un completo trasporto emotivo. Il punto che ha fatto discutere per anni è il viso con gli occhi socchiusi e l’affascinante bocca semiaperta dalla quale sembra emergere un gemito. La posa è sempre stata vista (che il Cielo ci perdoni!) come un esempio di sensualità ed erotismo della scultura ecclesiastica. Lo scrittore, filosofo e antropologo francese George Bataille la definì come un vero esempio di “erotismo sacro”. Come se non bastasse davanti alla santa c’è un cherubino rappresentato nel momento in cui apre le vesti della suora per colpirla al cuore con una freccia dorata (il simbolo dell’amore di Dio). A dirla tutta potrebbe anche sembrare un cupido nell’atto di colpire la sua “vittima”. A scanso di equivoci questa opera di Gian Lorenzo Bernini ebbe un grande impatto sul mondo dell’arte sacra e fu presa come un vero e proprio modello da imitare quando si vuole esprimere al meglio le emozioni scatenate dall’esperienza di fede (la “trance mistica”)

Il Pozzo

Dopo l’eros, l’acqua santa: siccome Roma non si fa  mancare niente, possiede una sua piccola Lourdes, acqua benedetta compresa. Basta andare a visitare la Cappella della Madonna del Pozzo dentro la chiesa di Santa Maria in Via dove si verificò un insolito miracolo.  Nel 1256 al posto della chiesa, sorgeva una semplice stalla annessa al palazzo del cardinale Pietro Capocci con accanto un pozzo da cui attingere l’acqua. Era una notte di settembre e si narra che un servitore fece cadere nel pozzo un’immagine della Madonna dipinta su una pesante tegola di terracotta. Dopo pochi secondi cominciò ad innalzarsi il livello dell’acqua del pozzo fino a tracimare. La fuoriuscita dell’acqua fu talmente copiosa che inondò la stalla e i cavalli cominciarono a nitrire e a scalpitare svegliando così gli stallieri che si affrettarono a mettere le bestie in salvo.

Parte della Tegola

Uno degli uomini notò una pietra che galleggiava sull’acqua:  era la pesante tegola con l’immagine della Madonna che era caduta nel pozzo. Ad ogni tentativo di recuperarla, la tegola scivolava dalle mani come un pesce. Fu, così,  svegliato il cardinale che, accorso sul luogo e dopo una breve preghiera, riuscì a recuperarla. Immediatamente le acque del pozzo si ritirarono. Il prelato decise, allora, di costruire, nel punto esatto dove era stata rinvenuta la tegola, una chiesa che divenne poi quella odierna. Nel tempo iniziarono a moltiplicarsi casi miracolosi di guarigioni di persone che avevano bevuto o si erano bagnate con il santo liquido. Tuttora è possibile bere l’acqua miracolosa e la chiesa è piena di ex voto per i tanti miracoli.

Spigolando qua e là in mezzo alle stranezze romane voglio fare un rapido cenno ad un luogo non proprio gioioso. In Via Giulia è situata la chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte. Non è un posto per allegroni, lo dice il nome stesso. Nel 1500, l’omonima confraternita la eresse sulle rive del Tevere per raccogliere, nel suo cimitero, i corpi degli sconosciuti  annegati nel Fiume o dei cadaveri trovati in campagna.

In qualsiasi posto fosse un morto insepolto, t’arrivava la Confraternita e “zacchète” ne dava pietosa sepoltura. Il visitatore che entra è subito avvolto da un’atmosfera tetra grazie a una “deliziosa” targa che raffigura uno scheletro che indica la scritta: “Hodie mihi, cras tibi“ vale a dire “Oggi a me, domani a te” (e tutti i visitatori giù a fare i debiti scongiuri non vi dico come…) La cripta sottostante ospita più di 8 mila corpi. Le decorazioni e lampadari sono realizzate con ossa e scheletri.

Ovunque giaccioni i resti dei defunti; sulla fronte di ciascun teschio è posta molto carinamente una incisione che ne ricorda il nome, la data e in alcuni casi, il motivo del decesso con il luogo di ritrovamento. Si potevano mettere delle targhette? Certo che si, ma vuoi mettere incidere le capocce dei malcapitati?

Ricordate la leggenda della Spada nella Roccia? Ebbene a Roma esiste qualcosa di simile. Secondo una leggenda, Orlando, il valoroso paladino di Carlo Magno, arrivato a Roma, fu coinvolto in uno scontro con alcuni Mori che andavano in cerca di rogne. Il Paladino sguainò la Durlindana e menò botte da orbi mettendo in fuga i malcapitati. Mentre combatteva, colpì una roccia con tale violenza da spezzarla in due parti. Facendo una passeggiata per vicolo della Spada di Orlando è visibile la pietra divisa da quel formidabile fendente!  Ci sarebbe anche una seconda versione che ora vi racconto: Morto Orlando, caduto in un agguato a Roncisvalle, il Re dei Franchi, Carlo Magno, per evitare che la Durlindana cadesse nelle mani del nemico, cercò di distruggerla menando un violento fendente contro una colonna, che rimase tagliata in due. Perché e come la colonna spezzata sia giunta nell’Urbe è un mistero!

Nella Roma antica non mancavano le caserme dei pompieri, tant’è che a metà del 1800, nel corso di uno scavo, al civico 9 di via della VII Coorte, venne riporto alla luce l’excubitorium dell’antica VII Coorte dei vigili, cioè una caserma  di circa 1.000 uomini che avevano il compito di spegnere gli incendi e di garantire la sicurezza ai cittadini durante le ore notturne (erano pure sfottuti perchè andavano in giro con dei secchielli contenenti acqua). All’interno della caserma muri coperti di incisioni eseguite probabilmente dagli stessi vigili durante i turni di riposo: saluti ad imperatori, frasi di preghiera agli dei, manifestazioni di stanchezza per il lavoro terminato, nomi di vigili con i rispettivi gradi e via dicendo. Nelle pause si divertivano così… poi si lamentavano per gli sfottò!

Vogliamo sfatare un mito? Eccovi serviti! Anticamente la Capitale disponeva di una macchina per scoprire le bugie situata nell’ingresso della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin e conosciuta come “La Bocca della Verità”. Nessuno sa quando le fu associata tale proprietà, quel che si sa, invece, è che quella faccia non è altri che il tombino di una fogna. Vuole la leggenda che anticamente alla pietra veniva richiesto di pronunciarsi se “una donna avessi fatto fallo a suo marito”, quando lo avesse, cioè, cornificato. Attenzione: siccome la pietra non era appesa come oggi ma poggiata alla parete esterna della chiesa, alcuni mercenari, assoldati dal marito offeso nell’onore, ben nascosti dietro al faccione, pungevano con uno spillone o con delle forbici la mano infilata nella bocca della verità dalla presunta infedele qualora continuasse a negare le proprie carnali debolezze.

Vi saluto alla distanza di un metro e mezzo e ci vediamo al prossimo articolo!

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