La pandemia ha colpito anche la pizza: l’Abruzzo tra le regioni più danneggiate

Indagine Cna Agroalimentare: tra 2019 e 2021 perse in Abruzzo 1.400 attività. Male l’asporto

PESCARA – La pandemia non ha risparmiato nemmeno uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica italiana nel mondo: la pizza.

E l’Abruzzo è una delle regioni che ne esce peggio.

A rivelarlo è una indagine condotta da Cna Agroalimentare nazionale, realizzata in occasione del “Pizza Village” in corso a Napoli.

Lo studio rivela come l’insieme delle attività legate a vario titolo alla filiera della pizza (panetterie, gastronomie pizzerie, rosticcerie pizzerie, pizzerie da asporto, bar pizzerie, ristoranti pizzeria) abbia subito tra 2019 e 2021 un netto calo.

L’indagine rivela che tra il 2019 e il 2021 le attività inerenti alla pizza sono calate del 4,2%, vale a dire di 5.366 unità, scendendo nel complesso a quota 121.529.

La regione che ha subito il più brusco arretramento è stata la Campania, che ha perso il 41,1% delle attività.

La netta flessione ha coinvolto soprattutto le regioni centro-meridionali, perché dopo la terra che la pizza ha inventato, a pagar dazio alla crisi sono state nell’ordine il Lazio (-34,8%), proprio l’Abruzzo (-28,4%, con 3.545 attività rimaste in campo e una diminuzione in termini assoluti di 1.404 esercizi), la Sicilia (-14,8%) e l’Umbria (-13%).

Mentre, all’opposto, a sbalordire è la crescita in termini assoluti nelle più grandi regioni settentrionali, con la Lombardia che incrementa complessivamente il numero delle attività legate al mondo della pizza di 3.489 unità (+24,6%), toccando quota 17.660 attività e scalzando così proprio la Campania dal gradino più alto del podio.

Mentre performance di tutto rispetto hanno riguardato Emilia Romagna (+ 1.496 attività), Veneto (+ 1.268) e Piemonte (+ 1.148).

Quanto alla densità per abitante, a capeggiare la graduatoria delle regioni è la Basilicata (un’attività ogni 206,3 residenti), seguita da Calabria (un’attività ogni 249,2 residenti), Sardegna (un’attività ogni 252,2 residenti) e Molise (un’attività ogni 263,9 residenti).

Quindi, nell’ordine, ci sono Abruzzo (un’attività ogni 359,3 abitanti), Valle d’Aosta, Marche, Toscana, Puglia, Sicilia, Liguria, Umbria, Emilia Romagna, Trentino-Alto Adige, Campania, Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio, con il Friuli Venezia Giulia nella posizione di fanalino di coda.

Dunque, come sottolinea lo studio «la pizza nemmeno è uscita dalla pandemia come ci era entrata.

Si è “nazionalizzata”, questo è certo, ma non è l’unico cambiamento. Ad essere mutato in realtà è stato un po’ tutto il mondo delle attività legate alla pizza».

L’influenza pandemica si rintraccia nell’incremento notevole – dice ancora lo studio – registrato tra le pizzerie da asporto, favorite dalle restrizioni sanitarie e dal lavoro da remoto, che costringevano in casa.

Tra il 2019 e il 2021 le pizzerie da asporto sono salite del 38% vale a dire di 5.367 unità arrivando a 19.669 attività complessive, mentre l’Abruzzo ha fatto il passo del gambero: nel 2019 erano 562, nel 2021 se ne contano 114 in meno, ovvero 448.

In termini relativi è la Basilicata ad aver fatto il botto, come si dice, segnando una crescita del 2.088%.

Ma sono le 2.348 (+151%) inaugurazioni di pizzerie da asporto in Lombardia ad aver segnato la differenza.

Significative pure le 1.109 (+175%) aperture in Emilia Romagna e le 656 (+98%) in Sardegna.

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