Nannarella e quell’addio di cinquant’anni fa che non ci ha fatto mai dimenticare la “Pina” di “Roma Città Aperta”

Cinquanta anni fa esatti, una serata come questa di oggi, l’Italia salutava, o almeno pensava di farlo, una delle più grandi attrici mai avute. Diciamocelo, forse la più grande, con tutto il rispetto per le altre.

Anna Magnani, “Nannarella” per i più, ma anche e forse soprattutto la Pina di Roma Città Aperta, il film che la portò ad essere l’interprete maestra del Neorealismo, con il magnifico film di Roberto Rossellini, nel quale si racconta la durezza della tragedia dell’occupazione nazifascista in Italia, e a Roma in particolare.

Anna Magnani era romana prima ancora di qualsiasi altra cosa. Nata vicino a Porta Pia il 7 marzo 1908 e cresciuta con la nonna Giovanna, cinque zie e un solo maschio per casa, lo zio Romano.

L’abbandono è stato il tratto che le si poteva leggere nei suoi occhi bellissimi e malinconici.

La madre, Marina, l’aveva lasciata per andare in Egitto. Il padre rimarrà per molti anni sconosciuto. Entrò all’accademia d’arte drammatica diretta da Silvio d’Amico che fu il primo a capire di avere fronte non una semplice interprete, ma una donna che viveva i suoi personaggi.

Questa su caratteristica farà in modo che Anna Magnai sarà per sempre la Pina mitragliata dai nazisti in “Roma città aperta” (1945), la Maddalena Cecconi di “Bellissima” (1951), la Roma Garofolo di “Mamma Roma” (1962), ma ancor prima la fruttivendola Elide di “Campo dei fiori” (1943).

La sua espressività troverà uno degli esempi più commoventi e intensi nella scena de “La Sciantosa” che canta “‘O surdato nnammurato” ai soldati italiani feriti e mutilati nella Prima Guerra Mondiale.

Dalla sua indimenticabile interpretazione in “Roma città aperta”, film cardine del neorealismo, nasce il mito di Anna Magnani, l’attrice italiana più popolare nel mondo (anche più di Sophia Loren) e certamente la più grande protagonista del nostro cinema.

Debutta nel cinema con “La cieca di Sorrento” (1934), ma il primo ruolo di rilievo lo avrà da Vittorio De Sica in “Teresa Venerdì” (1941) dove nasce la Magnani drammatica.

Quando arriva sul set di “Roma Città Aperta” insieme a Aldo Fabrizi è già notissima ed è proprio la geniale fusione tra il professionismo dei protagonisti e la naturalezza dei personaggi presi dalla strada a rendere memorabile anche la sua apparizione.

Lavorerà molto anche all’estero con attori e registi del calibro di Jean Renoir, “La carrozza d’oro”, Visconti, la rivista Time la definisce “divina, semplicemente divina” ed Eugene O’Neill è incantato dal suo talento.

Nel 1956 arriva ad Hollywood per girare “La Rosa Tatuata” di Daniel Mann, film che le varrà l’Oscar, prima (e unica) attrice di lingua non inglese a vincere la statuetta. Nonostante tutto, quando glielo annunciano, non ci crede e memorabile resterà la sua intervista a casa sua, in vestaglia, capelli all’aria e faccia palesemente assonnata.

A fronte del successo e della gloria come attrice, la sua vita privata sarà contrassegnata dal dramma e dalle ferite che l’hanno sempre portata a cercare quell’amore che, in realtà, Anna Magnan non ha mai avuto.

Relazioni sentimentali difficili e tempestose, il figlio affetto dalla poliomielite a amato contro tutto e tutti; una solitudine quasi voluta perché, diceva, “Non ho mai trovato qualcuno che sapesse imporsi al mio carattere”.

Ma proprio tutto ciò, il contrasto fra le luci della ribalta e il buio della vita privata, i suoi occhi profondi e intensi, la sua schiettezza, hanno fatto sì che “Nannarella”, la Pina crivellata di colpi dal soldato nazista, venisse amata e ricordata come un mito vero, quasi un personaggio della mitologia romana.

La marea di romani che vollero salutare per l’ultima volta la loro “Nannarella” (Foto Archivio Anna Magnani)