Un Cioccolatino Storico.“Risciùdde”. Storia di Emanuele Di Porto salvato dai tranvieri di Roma in quel triste 16 ottobre 1943

ROMA– Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti al consueto appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. Oggi vi racconteremo una storia assai particolare, dai seguiteci.

Roma, sabato 16 ottobre ’43, ore 5.30:

365 uomini della polizia nazista, coadiuvati da diversi sottufficiali entrarono nel ghetto di Roma e iniziarono il rastrellamento della popolazione romana di religione ebraica. Kappler, l’ufficiale nazista non si fidava delle forze fasciste e per questo mandò esclusivamente tedeschi per quell’operazione.

In foto: Anna Magnani in una scena del film di Rossellini Roma Città Aperta

Tra gli abitanti del ghetto c’era anche un ragazzino di 12 anni, si chiamava Emanuele Di Porto (classe 1931, romano doc). Emanuele era figlio di Settimio e Verginia Piazza e con i suoi sei fratelli, due zie e i cugini vivevano in una casa in Via della Reginella.Quel 16 ottobre papà Settimio era fuori casa – lavorava come venditore di souvenir di Roma- quando verso le cinque la moglie Virginia sente le voci e i rumori dei passi dei soldati nazisti e si veste per andare ad avvertire il marito di non rientrare.

Avverte i figli di restare a casa raccomandandosi di non uscire e va alla stazione Termini dove trova Settimio, gli racconta cosa sta succedendo e decidono insieme che sarebbe stato meglio che lui vada a nascondersi a casa di una sorella nel quartiere romano di Testaccio.Purtroppo sulla strada del ritorno Virginia fu fermata – in Piazza Mattei- dai nazisti e caricata su una camionetta.

In foto: Emanuele Di Porto

Il piccolo Emanuele vide la scena, era affacciato alla finestra, e di botto decise di correre giù verso la madre: la madre tentò in tutti i modi di dissuadere il figlio, ma non vi riuscì.

In foto: Il Portico D’Ottavia (Roma)

Un soldato nazista, nonostante le rassicurazioni di Virginia (gli disse che il ragazzo non era ebreo) lo caricarono sul camion: ma mamma Virginia spinge giù il figlio che riesce a scappare. Corse più forte che poteva fino ad arrivare a Piazza Monte Savello ove c’era il capolinea dei tram.

Al bigliettaio confida: “Guarda che sono ebreo. Mi stanno cercando i tedeschi”.

Sono le sei del mattino e piove, l’uomo gli fa cenno di salire e gli dice di mettersi vicino a lui. Il bigliettaio e il tranviere condividono con Emanuele il loro cibo e, alla fine del turno, raccomandano il bambino ai loro colleghi. Così per due giorni rimane sul tram protetto e sfamato da tranvieri e bigliettai.

La terza mattina fortunatamente sale sul tram un amico di famiglia che lo riconosce e lo accompagna a casa dal padre che pensava che anche Emanuele fosse stato preso nella retata.

Mamma Virginia e zio Pacifico furono deportati ad Auschwitz ma non sopravvissero. Emanuele divenne grande, si sposò e ha due figli, ma non dimentica ne’ la retata né il gesto dei tramvieri di Roma.

Un Abbraccio Storico

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