“Casablanca express”, ovvero il viaggio di Mulay Achmed Mohammed al Mansur…

AVEZZANO – Ore 16,30 del 16 gennaio 2020, piazzale della stazione di Avezzano: un grosso autobus granturismo, come da oltre 15 anni, ogni quindici giorni, si appresta a partire con destinazione Marocco, Agadir o Casablanca.

L’autobus per il Marocco a Piazza Matteotti

Dopo aver percorso l’autostrada Avezzano-Roma, l’autobus sale lungo il Tirreno e giunge in Liguria, poi raggiunge Nizza ed entra poi in Spagna. Tira giù, ancora, fino a Gibilterra e lì sale sul traghetto e raggiunge, infine, il Marocco. E’ uno strano viaggio!

Nell’epoca degli aerei, purtroppo costosi, questo autobus consente di fare un viaggio meno oneroso ma sicuramente più lungo e stancante, ma disse un antico viaggiatore: non c’è nulla che possa impedire allo straniero di ritornare a casa che si chiami Odisseo o meno…
E quello che vuol tornare a casa è Mulay Achmed Mohammed al Mansur: è giunto quasi dieci anni fa in Italia, sfuggendo al Marocco di Hassan II, che pur conquistando un ruolo di preminenza, ha visto in tanti finire nel mirino della politica assolutistica del re. Molti che son fuggiti dal Marocco sono andati a ingrossare le file della malavita dalle nostre parti, ma forse, assai di più, hanno lavorato.

Mulay ha iniziato a lavorare nei campi di Fucino a raccogliere ortaggi, poi aveva messo su un banchetto di cianciafruscoli alle fiere o ai mercati con un suo connazionale e, infine, è andato a lavorare in una impresa di trasporti, prima come uomo di fatica, poi fattorino e, poi, addetto alle consegne. Oggi ha deciso di tornare per un po’ a casa: la sua seconda figlia sta per sposarsi, col frutto dei suoi sacrifici, e lui vuole esserci. Lo seguiamo mentre “si imbarca”. Sono le diciotto quando, alla fine l’autobus “molla gli ormeggi” e si avvia nel suo lungo viaggio per circa 2.950 km e 30-35 ore di percorrenza.

Lo sviluppo del viaggio

Saliamo in due, ci troviamo un posto. Mulay è poco più avanti. Siamo in dissimulata per poter osservare meglio. Ci sono tante persone, fra le più diverse. Non tutti sono originari del Marocco: ci son anche tunisini ed algerini e, anche, due nigeriani diretti ben oltre. Ci chiediamo perché un autobus invece di un aereo e forse la risposta è semplice: magari meno controlli. Le porte si chiudono, come abbiamo detto, e l’autobus inizia il suo lungo viaggio pieno di una umanità che va verso casa.

Niente barconi ora, ma un autobus che viaggia nell’imbrunire, che si avvia verso la notte… Una sorta di lungo “viaggio del giorno verso la notte” ma non è il dramma di O’Neill, piuttosto è una sorta di Anabasi o, piuttosto, una sorta di Odissea nella quale è difficile discernere un Odisseo o i Feaci nel coacervo di persone e nazionalità che affollano questa zattera del XXI secolo. Senza accorgercene ci troviamo oltre Roma, forse siamo ben oltre. I finestrini sono appannati, fuori e freddo e dentro c’è una calda umanità che, appisolandosi, è scivolata verso un sonno lungo e profondo. Qualcuno sbocconcella un panino arabo o qualche biscotto più tipico. Dietro di noi, un uomo, forse un imam, ad occhi chiusi mormora alcune parole quasi silenziose, sicuramente sta pregando, imitato da qualche altro qua e là. Si sentono mormorii in lingua araba, con quei toni che sembrano aspri anche quando son dolci.

Le luci son molto basse. Ogni tanto qualcuno si alza a sgranchirsi le gambe o per andare alla toilette. C’è una specie di televisore in fondo all’autobus, sopra la testa dell’autista. Siamo al centro dell’autobus e non si vede granché bene. Ma poco importa. Mulay si volta verso di noi e sorride: va verso casa sua, ed è contento! Una donna avvolta in una coperta sembra triste, forse piange. L’uomo accanto le mormora qualcosa. L’autobus sembra penetrare sempre più nella notte. Domattina saremo forse già a Nizza.

Ci arriviamo che albeggia. Ci si ferma ad un autogrill per una sosta necessaria. Son pochi a scendere, quasi timorosi che si possa perdere il posto in questa strana arca che torna a casa. Nessuno sembra curarsi di noi: siamo solo due italiani che vanno chissà dove! Scambiamo qualche parola con Mulay. Dice di non essere stanco: chi torna a casa non può esserlo…Dice! Forse è trascorsa solo un’ora e già ripartiamo. L’autista ha detto a tutti di salire. “Djalla!” ha detto e tutti son corsi a bordo! Il mio collega ha riempito pagine di taccuino con le sue impressioni, ma ci guardiamo e scopriamo che son solo parole che descrivono qualcosa che non ha molto senso descrivere, perché le parole non possono essere sufficienti per dare un’idea di un viaggio che sembra anacronistico a chi sia abituato agli aerei.

Una immagine durante il viaggio?

Ripartiamo. Non so come sia possibile ma, dopo aver ingannato un po’ il tempo immergendomi nella lettura di un romanzo che ho in borsa, mi accorgo che siamo di nuovo nella notte. Una notte di sussurri, parole sommesse e un generico ronfare, di gente stanca che s’è addormentata di nuovo. Fa un po’ freddo, poi l’autista alza il riscaldamento e l’atmosfera diviene quasi soffocante, ma poi si raffresca un po’. Ad un certo punto, ci accorgiamo che abbiam passato Barcellona e stiamo andando sempre più giù. D’un tratto, ore dopo, appare la Rocca quella Gebel el Tariq, Gibilterra, estremo avamposto dell’Europa di fronte all’Africa. Ci imbarchiamo sul traghetto e alla fine, al tramonto, eccoci a sbarcare sulla costa del Marocco.
Controlli doganali a non finire. Smontano sia l’abitacolo che il bagagliaio.
Quando ripartiamo finiamo sulla litoranea e, prima di piegare verso Casablanca, mi sento di scattare una immagine che sembra quella di un film.

Poi corriamo verso la nostra destinazione… Il viaggio va verso la fine…
Ora è giorno… Odisseo, pardon Mulay è a casa sua! Ha le lacrime agli occhi.
Questa sorta di moderna Odissea è finita! Ci accorgiamo che abbiamo scambiato con lui poche parole, ma le sue ultime prima di lasciarci valgono un intero racconto: “Dhahabat lilmunzil walhamd lilahAlsalam maeakum!” (Son tornato a casa grazie ad Allah, la pace sia con voi!).

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